Sto partecipando a un corso sul pensiero femminista contemporaneo.
Come mi è venuto in mente? Vagavo per il web con la voglia di impegnare utilmente qualche mattina prima di iniziare la mia giornata lavorativa e il Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona – di cui ho la “tessera amico” – pubblicizzava questo corso.
Bene! – ho pensato – così conosco gente nuova. E infatti siamo una ventina e nel gruppo ci sono personalità molto interessanti: donne che hanno viaggiato, che hanno marciato in prima fila nelle manifestazioni femministe degli anni ’70, donne illustratrici, studentesse, donne creative con piccoli progetti autonomi in partenza, ci sono anche due uomini. Più variegato di così non si può.
La mia immersione giornaliera e totalizzante nel mondo femminile della Clinica mi sta travolgendo talmente tanto che avevo bisogno di teorizzare un pochino, leggere testi nuovi, per uscire un po’ dal conformismo delle nostre opinioni da lavoratrici del settore.
Mh, magari detto così sembra che facciamo chissà quale lavoro, quindi specifico: volevo uscire dal conformismo delle opinioni di noi assistenti al paziente di una clinica di fertilità.
Perché le opinioni e i filosofeggiare, fra noi, sono all’ordine del giorno.
Non ne possiamo fare a meno, ma i casi umani con cui ci troviamo a parlare al telefono o di cui leggiamo le mail, ci portano per forza a farci millemila domande (a volte anche molte risate, per fortuna).
Fra di noi ci sono poi quelle che hanno una risposta a tutto (e normalmente applicano il concetto telodicoio a tutti gli ambiti della loro vita) e quelle che invece di risposte ne hanno poche o ne hanno varie alla stessa domanda, tipo io.
Perché certe tematiche – voglia di maternità e relazioni sentimentali in primis – mica si possono vedere senza sfumature. E soprattutto perché quello che una donna ti racconta in un quarto d’ora al telefono, è solo un microcosmo della sua storia, della sua personalità. E quindi chi siamo noi per pensare di aver capito tutto di lei e giudicare le sue scelte?
Stanca di tutto questo parlare, ecco che mi trovo seduta ad ascoltare una dissertazione su una scrittrice e femminista italiana, Carla Lonzi, che fino al giorno dell’inizio del corso non avevo mai sentito nominare.
Leggiamo il suo “Manifesto di Rivolta Femminile”, del 1970, e certe frasi mi si conficcano nel cervello, fra cui queste:
Le donne sono persuase fin dall’infanzia a non prendere decisioni e a dipendere da persona “capace” e “responsabile”: il padre, il marito, il fratello…
L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione.
Verginità, castità, fedeltà, non sono virtù; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia.
L’onore ne è la conseguente codificazione repressiva.
Nel matrimonio la donna, privata del suo nome, perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito.
Chi genera non ha la facoltà di attribuire ai figli il proprio nome: il diritto della donna è stato ambito da altri di cui è diventato il privilegio.
Ci costringono a rivendicare l’evidenza di un fatto naturale.
Riconosciamo nel matrimonio l’istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile.
Siamo contro il matrimonio.
Il divorzio è un innesto di matrimoni da cui l’istituzione esce rafforzata.
Sono parole forti, opinioni che si possono condividere o meno, ma non posso fare a meno di pensare a come, anche se arrivo due generazioni dopo la Lonzi, certi atteggiamenti verso le donne siano ancora identici e i pregiudizi verso il mondo femminile siano ancora vivi e vegeti in molti loro aspetti.
Noi donne per prime ci liberiamo ancora con reticenza dai pregiudizi che ruotano intorno ai concetti di verginità, castità e fedeltà.
Una donna non vergine non casta può essere automaticamente bollata come infedele, giusto per dirne una, la più facile. E spesso lo pensano le stesse donne. Per una donna si abbina automaticamente la presenza maschile al suo fianco, preferibile che sia un marito, in ogni caso una donna sola ispira spesso pena e sguardi di compassione. La si pensa alla ricerca sicura di un uomo che la protegga.
Giusto per tornare alle frasi che ho riportato nell’ultimo post, entrano nel campionario anche queste:
Frequenti solo donne zitelle, ma vuoi invecchiare sola?
Perché esci solo con le amiche, ma sei diventata lesbica?
Sei stata una pazza a lasciar andare un uomo che ti avrebbe permesso una vita così sicura e agiata.
Quando una donna compie una scelta controcorrente può facilmente essere considerata scriteriata, lesbica, sola o sull’orlo della depressione (anche tutte e 4 le casistiche assieme). Questa concezione può cambiare con il tempo, con tanti mesi di lavoro, cercando di dare spazio soprattutto alla ricostruzione di se stesse, di modo che lo vedano anche gli altri. Andare avanti a testa alta, molte volte sorridere per non scoppiare a piangere, ingoiare rospi e imparare a non reagire ai giudizi che feriscono (questa la parte più difficile): a volte è questa l’unica soluzione.
Certo è che leggendo le parole della Lonzi ho avuto un moto di immedesimazione.
Il matrimonio come passaggio di proprietà, è detto in modo duro ma non è stato poi così tanto lontano dalla realtà, nel mio caso. È una proprietà implicita, un passaggio di protezione da un nucleo familiare all’altro, come se da sola non avrei potuto sopravvivere. E invece.
E per voi, quali sono state le migliori frasi giudicanti che vi sono state rivolte?
Sulla stessa onda:
Quello che una donna si sente dire – il sottile sessismo al femminile
E:
come hai letto, qualcosa ho riportato. devo però essere sincera, quelle che mi hanno fatto più male e che ancora me lo fanno sono a proposito dell’affidamento congiunto e tra l’altro mi sono state riportate. Ed è vero che la prima è stata detta col preciso intento di fare del male, quindi questo dovrebbe ridimensionarla, ma tant’è. Eccole: 1)”io non accetterei mai di privarmi dei figli per una settimana. quella lo lascia una settimana all’ex marito per farsi i cazzi suoi nel frattempo “. 2) “se ti capitasse di separarti non fare assolutamente come connie, non accettare mai di lasciare la bambina a lui al 50%”.
e lo so che dovrebbe bastare la serenità del bimbo a farmi stare tranquilla su almeno questo punto ma non basta.
p.s.: ho vinto qualche cosa? 😀
ahaahaha vinci la copartecipazione alla stesura del “manifesto della donna separata” 🙂 ti piace?
Qui si va molto sul basso…purtroppo quando c’entrano anche i bambini è facile assurgersi ancora di più al ruolo del “gran moralizzatore” per il bene dei bambini…
e ti risparmio le statistiche sul fatto che i figli di genitori separati hanno sempre più problemi a scuola. e lì fu una grande arya che mi disse “ma perché non gli rispondi se c’è una statistica sui figli delle teste di cazzo come loro?”. comunque per il manifesto ci sto! 😀
Io non sono separata, perché non mi sono mai sposata, ma da quando ho iniziato ad avere l’età per pensare con la mia testa rifletto sull’essere donna e sull’essere autonoma “pur essendo” donna, e infatti la frase che più mi parla è la prima, quella relativa all’essere associata a una figura “capace”, maschile. E ci sto riflettendo ancor più negli ultimi tempi. In ogni caso ho sempre notato quanto questi concetti siano interiorizzati dalle donne stesse, che per prime accettano ruoli culturalmente definiti e non sanno definirsi al di fuori di essi, anzi giudicano le altre donne sulla base di questi parametri.
A volte è così, i primi ostacolatori delle donne possono essere le donne stesse. Però ecco, non c’è bisogno di essere state sposate per rendersi conto di certi pregiudizi, che purtroppo vanno ben al di là della sfera della coppia.
accidenti, se fosse una gara davvero Connie vincerebbe a mani basse…ancora non ci credo che si possano dire cose del genere!
Sono molto d’accordo con losengriol circa il fatto che spesso le donne hanno talmente interiorizzato da non lamentarsene nemmeno e anzi giudicare le altre in base allo stesso paradigma. Mi ha sempre colpito come molte donne giudichino una single di ritorno come una che “non ha più niente”, mentre non direbbero mai la stessa cosa di un uomo.
Eppure, uno dei giudizi che più mi hanno ferito è stato quando i miei ex-colleghi mi hanno criticata per aver lasciato il lavoro e aver seguito mio marito in un altro paese, visto che avremmo potuto continuare con la relazione a distanza anche per anni. Ed io pensai: si vede che vi piacciono tanto le vostre signore se non trovate nulla di negativo nella prospettiva di trasferirvi a 1000 km da loro…Questo per dire che alla fine tutto può essere ribaltato e lo stesso si continuerebbe a sparare giudizi sulle libere scelte altrui, ahimé.
Esatto Arya, tutto può essere ribaaltato e a volte lo si fa solo per il gusto di commentare il contrario di quello che fai. Se sei single di ritorno sei una che ha perso tutto, se stai in una relazione decennale sei una che si accontenta di una vita noiosa, se lasci un lavoro sei una matta e se ti tieni quello che hai sei una sgobbona che non ha il coraggio di cambiare…
Io adoro quello/a che ti ha chiesto se eri lesbica perche’ uscivi con sole donne ahahahah nn fa una piega come ragionamento!!
Per la serie frasi che magari non feriscono ma sono gratis e nessuno te le ha chieste: l’altro giorno una che a mala pena mi conosce parlava di me con un’altra che non mi conosce proprio (con me di fronte) e dice indicandomi: ” vedi com’e’ lei? mmmmm (faccia schifata ) ….e’ cosi..sempre negativa” ma Vaffanculo va’.
Eli <3
[…] che questa parola, normalità, è stata eliminata dal mio vocabolario giusto quei tre annetti fa, mi sembra lampante che ormai siano sempre di più le donne che si sentono in preda ai fumi del […]