Come avviene il divorzio breve, ora che finalmente c’è questa possibilità? A parte i tempi, non credo sia cambiato molto nel procedimento di per se. Questo è il racconto di come l’ho vissuto io.
Non avevo mai pensato a come fosse fatto un tribunale fino a che non sono stata costretta ad entrarci. Dei tribunali si parla poco e non ho mai sentito commenti sui suoi corridoi spogli, sulle porte che nascondono chissà quali segreti, sulle facce stanche della gente che aspetta il suo turno.
A me ha fatto un po’ pensare alla versione burocratica di un ospedale. La gente normalmente ci va perché qualcosa non funziona come dovrebbe, può essere una sciocchezza che si risolve in fretta oppure un problema che si dilunga per anni. Gli avvocati sono lì per curare il problema, non hanno un camice bianco ma abiti formali e si sente spesso il ticchettare di scarpe alte lungo i corridoi invece che lo strusciare degli zoccoli di gomma.
Le persone comunque rivolgono uno sguardo speranzoso a quel rumore di suole in avvicinamento, salvo poi ritornare a concentrarsi sui loro schermi. Le cartelle esistono anche qui, fogli di carta che si accumulano e si impilano negli armadi, pagine manoscritte con la diagnosi e la proposta di cura. Le sale d’attesa pullulano di gente che non sembra affatto divertita. Anche i tempi d’attesa ricordano quelli di un ospedale.
La sala delle (dis)unioni civili non è grande e molte coppie attendono sui seggi di legno color ciliegio. Ci sono coppie in cui i (tra poco ex) coniugi stanno seduti uno a fianco all’altra, mentre altre non si guardano nemmeno in faccia, lui aspetta in corridoio mentre lei parla con il suo avvocato.
L’appuntamento per il divorzio breve è alle 11 ma sappiamo già che dovremo aspettare. Non si tratta di un orario personalizzato, si entra a turni, come dal medico, ma senza ticket. Non so in che modo si stia rispettando l’ordine d’entrata, so solo che noi siamo i noni e nessuno ha chiesto “Chi è l’ultimo?”.
Confido quindi nelle avvocatesse, che sembrano rilassate nelle loro chiacchiere professionali.
Io e lui abbiamo già preso un caffè insieme prima di venire al tempio cagliaritano della giustizia. Il nervosismo del giorno prima e di questa mattina si è sciolto in una spremuta d’arancia e nei sorrisi rassicuranti che ci scambiamo. Siamo rimasti in buoni rapporti, e questo rende più facile far passare in fretta questa mattinata, che si dipana fra qualche chiacchiera di aggiornamento sulle nostra famiglie, sugli amici sparsi per l’Italia e all’estero e congratulazioni per il suo nuovo lavoro.
Lo trovo bene, in forma, abbronzato, elegante come sempre.
Molto più sereno dell’ultima volta in cui ci siamo visti di persona, due anni fa. Di acqua sotto i ponti ne è passata per entrambi, e se c’è una cosa che si avvera e a cui all’inizio non credevo, è che il tempo aggiusta molte cose. Basta farlo fluire e non fermarsi. Un lavoraccio, a volte, che può rivelarsi costoso in molti sensi, ma sembra che ne sia valsa la pena.
Le coppie entrano ed escono velocemente da una porta adiacente all’aula in cui aspettiamo. Molte facce sollevate, alcuni si cimentano pure in grandi sorrisi, altri invece escono molto più seri e con l’espressione tirata. C’è una coppia che in particolare mi colpisce: sono due vecchietti sui 75 anni. Vestiti sobri, un portamento elegante, capelli bianchissimi, la schiena un po’ curva e la tristezza negli occhi. Mi giro a cercare una risposta dalla mia avvocatessa.
Non erano dentro per divorziare, vero? – le chiedo
Oh si che lo erano – mi risponde lei
Mi sento d’improvviso giovanissima, triste ma leggera, vorrei piangere un pochino e andare via subito. Ma mi trattengo. Tra poco tocca a noi, ci faranno sedere di fronte a una tavola rotonda, in una stanza che pullula di faldoni e con gli occhi di 6 persone puntati in faccia. A cosa servono 6 persone, se l’unica cosa che dobbiamo fare lì dentro è rispondere a una sola brevissima domanda, mettere una firma e alzarci?
A cosa staranno pensando, queste 6 persone mentre gli stiamo seduti davanti? A quanto sembriamo giovani per essere già qui? A quanti anni abbiamo passato insieme prima di arrivare a questo tavolo? O semplicemente si chiedono quanta gente manca ancora, visto che è già ora di pranzo?
Non faccio nemmeno in tempo a finire di formulare nella mente queste tre domande.
Abbiamo già firmato, il foglio restituito, ci alziamo.
Meno di un minuto per chiudere tre anni di attesa.
—⭐︎—
Foto di copertina: Marta Colomer. The rain also will pass, and if it doesn’t… we will learn to paddle.
Per leggere qualcosa in più sulla mia storia:
Preparativi per un divorzio: come ci si sente a divorziare a 30 anni
C’è un bel mix di malinconia e serenità in questo post. Certo la coppia di vecchietti fa tenerezza.
Nel tempo di una firma, si è chiuso definitivamente un capitolo della tua vita. è bello però vedere che nonostante tutto ci sia la voglia di lasciarsi tutto alle spalle, soprattutto nei sorrisi reciproci che vi siete scambiati. Bravi.
Io sto leggendo da un po’ il tuo blog e come Stefano leggo della malinconia (ma non riesco a mettere mi piace ne ha scrivere attraverso il mio blog. Forse ora ti apparirò con la mia mail!) ma non tragica. Una nostalgia ben annidiata ma vista attraverso uno sguardo che si apre al futuro. COn i rimoianti ed i rimorsi, ma disposto al nuovo. È lo stesso che pensavo anche immaginandoti in quell’autobus delle Otto mentre rientravi alla fine della tua giornata. Ci sono storie e giorni che passano nostalgici ma che sono parte di noi, che custodiremo sempre in un cantuccio. Ma è tempo a volte di svoltare e di guardare oltre, verso nuovi panorami. E da quello che mi pare di leggere tu li stai scrutando!
Grazie Lois, in queste occasioni si incontrano un po’ di sentimenti che potrebbero sembrare contrastanti fra loro, ma alla fine contribuiscono a creare la complessità dei “momenti di passaggio” della vita 🙂
mi piace il paragone tra il tribunale e l’ospedale. Il momento di passaggio lo capisco bene, e ovviamente penso che un incontro in tribunale come il vostro non possa che acuirne la percezione. Mi ritrovo in questo sguardo sul tempo passato. Quanto alla brevità del rito, io penso sia solo un gran bene. Non saranno certo procedure infinite a salvare una famiglia e nemmeno a tutelarla dal dolore, anzi. Ma i pensionati divorziavano per ragioni economiche vero? questo sì che è triste!
Sicuramente un gran bene, la nuova relativa brevità del rito. Non ho idea del perché avesse deciso di divorziare, quella coppia, ma a prescindere dal motivo mi hanno fatto molta tristezza.
Mi trovo in una.situazione molto strana e forse puoi darmi una mano.
Non so quali sono stati.i vostri motivi, i nostri sono quasi irreali….abbiamo una bambina di nove mesi ed è tutto molto complicato.
Pensavo di essere l’unica 30enne a volersi separare….mi aiuti?
Come.si supera un fallimento.così grande?
Cara Maria Concetta, mi fai una domanda molto difficile a cui credo di non avere una risposta universale. Ogni separazione hai suoi motivi, i suoi dolori, le cose non dette che poi non si riescono più a reprimere. Quello che ti posso dire è che la maggior parte delle volte la risposta a una domanda così la sappiamo già dentro di noi, quindi mantieni la calma che ti aiuterà ad andare verso la risposta giusta per te e per la tua bambina. Non sei sola, come leggi qui, non sei l’unica trentenne a separarsi. Ti mando un grande abbraccio e un in bocca al lupo!
Esattamente 🙂 Ho divorziato dopo 5 anni rispetto ai 4 che sono stata sposata….. una tristezzaa infinita e gli avvocati che fanno più gli interessi loro che i tuoi…. Almeno è andata 🙂
Si, è un procedimento molto triste, è vero. Tanto più se ci sono troppe faccende legali in cui gli avvocati devono dire la loro 🙁
Ma una volta andata, che gran peso se ne va!
Non mi sono sposato a Cagliari trent’anni fa, ma ho divorziato a Genova trent’anni dopo in un batter d’occhio. E stasera faccio pane frattau per ricordami della Sardegna!
Mi sembra un ottimo piano, Thomas 😀
W Genova e la Sardegna 😉