Questa stanza sa quasi tutto di me. Di certo lo ha saputo fino al mio compimento dei trenta, anche se non ci vivevo già più quotidianamente ma ci tornavo molto più spesso di quanto non faccia ora.
Dalla finestra vedo le montagne del paesello, sento il suono delle campane delle tre chiese e il rombo dei motori modificati dei diciottenni annoiati al semaforo.
In questa camera ho letto i miei primi libri preferiti, vissuto la mia prima volta, passato notti prima degli esami, studiato durante le roventi estati isolane, ascoltato musica cantando in playback di fronte allo specchio, trascorso molte ore al telefono, litigato con mia madre, sbuffato perché nessuno bussava prima di aprire la porta.
In questa camera i miei a un certo punto hanno sostituito il letto singolo con uno matrimoniale, perché già convivevo e qui tornavamo insieme per le vacanze estive, e comunque se vi sposate è meglio.
E quindi in questa camera si sono svolti anche parte dei preparativi del mio matrimonio, e molti momenti post matrimoniali, sempre durante le vacanze estive o le festività comandate.
Ora tutto torna indietro, anche se non lo vorrei ascoltare.
All’inizio, subito dopo la separazione, era molto più difficile: tornare sull’isola e dormire da sola in questo letto matrimoniale mi faceva mancare l’aria, era tutto un vociare di parole passate, lettere che uscivano da scatole nascoste nell’armadio e album di foto che mi fissavano severi, abbandonati.
Con il tempo le cose sono migliorate, dormire qui mi fa pensare meno alla parte vuota del letto matrimoniale e più alla ragazzina che ero e che passava le ore in un mondo fatto di letture e sogni a occhi aperti su un fantastico futuro fatto di viaggi e vite fuori dal paesello, senza più dover sentire le campane a morto della chiesa.
Vedo i miei libri del liceo, i peluche regalati a San Valentino, i dizionari delle lingue che ho studiato e i manuali dell’università, le Smemo su cui ho appuntato come un ossesso per anni relazioni sulle mie giornate, e che ora naturalmente ho il terrore di aprire.
Non voglio leggere dei miei entusiasmi su cose che ora mi innervosiscono o le parole d’amore che usavo con tanta facilità rivolte alle mie infatuazioni liceali.
Dormo qui durante i miei sporadici viaggi sull’isola ma non ho voglia di scontrarmi troppo con quella che sono stata qui dentro in passato.
Riconosco ora che la sensazione di frustrazione che predominava nella me adolescente era data dal sentirmi al sicuro in questa stanza, ma come ci si può sentire al sicuro dentro a una bolla: caldo, ovattato, il tempo scandito dal ticchettio di un orologio su cui campeggia la scritta “ti amo“, sapendo che fuori aspettano il pericolo, l’avventura, la scoperta del nuovo.
Una pulsione che mi chiamava all’esterno e una paura di far scoppiare la bolla, uscire dal nido e deludere chi l’aveva costruito con tanto amore. Quando ho iniziato a mettere il naso fuori è stato poi un crescendo, fino allo scoppio finale.
La bolla non c’è più, ora il fuori mi sembra il mio posto, e qui sono rimaste le vestigia dell’ovatta che mi ha cullato in passato. Non è un male, ma non riesco a starci serena per più di 48 ore consecutive.
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[…] molta nostalgia, a sentirmi di nuovo in pace con la terra e più forte per affrontare quella sensazione adolescenziale che ha sempre caratterizzato i miei ritorni in […]
Incredibile come i moti del cuore si assomiglino 🙂
è molto consolante anche, non trovi?