Tornare a casa – quanti posti puoi chiamare così?

Tornare a Casa

Sono le 18 e mi accomodo sul Volabus verso l’aeroporto di Genova. La navetta parte da Brignole, sale fino a De Ferraris, continua verso piazza Principe, costeggia il porto, i capannoni mercantili, esce brevemente dalla città e arriva a destinazione. Sono trenta minuti esatti, e per la prima volta mi soffermo a guardare questo tragitto lungo Genova dal finestrino di un’auto. Il cielo è terso, passiamo a lato della sopraelevata e vedo i ragazzi in motorino che sfrecciano lì sopra. C’è traffico, rallentiamo di fronte a un meccanico a lato del porto. Ci sono dei camion in fila che aspettano l’imbarco, i container gialli impilati come mattoncini Lego per giganti.

Genova si alza dietro il bus, le pareti rosate degli edifici che salgono sui colli. Sto andando via per due settimane e per la prima volta sento la morsa. La morsa è quella sensazione di restringimento al cuore che sento quando mi allontano da un posto in cui sto bene. Anche se sto partendo verso un viaggio desiderato, anche se la mia destinazione è un posto be più amato. Lasciare i miei spazi rassicuranti mi provoca sempre una morsa. Con Genova, ieri è stata la mia prima volta. Sembra un dettaglio di poca importanza, ma per me è un segnale forte, che vuol dire che mi sto abituando a vivere qui e che piano piano sto imparando ad amare questo posto e a sentirlo casa. Un’altra casa che si aggiunge alla lista.

Starò via per altre due settimane per tornare a casa dopo quattro mesi. Non ha veramente più senso parlare della “mia casa”. Non ne ho più una e allo stesso tempo ne ho diverse. Sento la morsa quando lascio Genova ma poi mi manca il fiato dalla gioia al pensare che sto tornando a casa mia, a Barcellona.

E infatti questa mattina mi sono svegliata a due passi dal Passeig del Born, ed è come se non fossi mai andata via. Ieri notte sono arrivata tardissimo per via di un ritardo aereo, ma mi sono incamminata da plaza Catalunya verso casa dell’amica Sus come nella passeggiata più routinaria del mondo. Camminare a notte fonda da sola, con tranquillità, è una cosa che sono riuscita a fare solo a Barcellona. Sono scesa lungo portal del Ángel, ho attraversato la plaza de la Catedral, mi sono incamminata per Laietana e poi sono entrata nel Born. Ho cercato di non dare peso all’ennesima insegna luminescente che cozza con le luci soffuse di via de l’Argenteria, e ho proseguito tranquilla con le rotelline del trolley che pestavano i ciottoli.

Sono qui distesa a fianco a una finestra aperta sul centro di Barcellona, in un appartamento dai soffitti alti che si affaccia direttamente sulla fiamma eterna del Fossar de les Moreres. Una piazza simbolo per i catalani, ma che – come molte cose a Barcellona – si è trasformata in un luogo di ritrovo per chi passa in città con intenti ben meno simbolici.

Questa mattina sono passata  di fronte al palazzo in cui sta la mia ex-scatola di fiammiferi, e non ho visto nessun cambiamento particolare. C’era il gruppo di bengalesi miei vicini di casa che tenevano d’occhio i loro colleghi venditori in spiaggia, i turisti in infradito e scottature di terzo grado, il vagabondo abbronzato che dorme sempre nelle panchine del lungo mare. Niente di particolarmente bello, ma così meravigliosamente conosciuto, parte inscindibile dei miei tre anni di vita in Barceloneta. Ho mangiato un burrito di tinga de pollo a la Heladeria Mexicana. E tutto nella consapevolezza che il barrio è pressoché quello di sempre solo che non ci passo la mia quotidianità, e questo fa calare un velo di distanza pur senza farmi sentire nel posto sbagliato.

Tornerei a vivere qui domani stesso, se fosse possibile. E allo stesso tempo l’idea di allontanarmi dal nostro angolino di luce tra monte e mare a Genova inizia a farsi dolorosa come quando pensavo di lasciare la scatola di fiammiferi.

Cos’è che ci fa sentire veramente la forza del tornare a casa? 
Cos’è che ci permette di sentirci totalmente a nostro agio in una città, a prescindere da quello che gli altri ne pensino?

Barcellona ha tantissimi difetti, ma sarà sempre la città in cui ho cominciato da sola la mia nuova vita.
Quella in cui ho passeggiato sognando in grande e, a volte, sentendomi un vermetto inutile ma caparbio.
Quella che mi ha fatto rialzare la testa, dandomi l’opportunità di fare esperienze che la responsabilità dei miei 20 anni mi aveva fatto trascurare.
La città in cui ho ritrovato l’amore e decine di persone che sono diventate una sorta di famiglia allargata.
Sono andata a salutare alcune di loro stasera, fra le pareti fucsia in cui abbiamo passato tante ore insieme.
In ventiquattr’ore a Barcellona ho già collezionato tanti abbracci e sorrisi che mi portano a chiedermi cos’è che ci faccio in Italia, dove le distanze sembrano più lunghe, le persone hanno agende serrate, gli spostamenti si fanno faticosi?
Quanti posti possiamo chiamare sinceramente casa?
E non è forse malattia del migrante quella di cercare in ogni posto in cui vive una parvenza di casa, aggrappandosi alle cose più belle per non pensare a quello che ha lasciato?

17 risposte a “Tornare a casa – quanti posti puoi chiamare così?”

  1. Dopo essermi trasferita a Copenaghen ho capito che la mia casa è dove ci sono il mio amore è i miei figli.

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Credo che alla fine tutto si riconduca a questa frase Vale, è vero. È casa dove amiamo e ci sentiamo amati.

  2. Claudia Lemmi dice: Rispondi

    Ciao Giulia, che bello questo post… mi hai fatto emozionare! Goditi queste due belle settimane a Barcellona!

  3. Claudia Lemmi dice: Rispondi

    Ciao Giulia, sono contenta per te! Goditi queste due settimane a Barcellona 🙂

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Grazie! 🙂

  4. Carissima, come ti capisco! Tornero’ in Italia tra una settimana per la classica visita di rito e tutti continuano a chiedermi: “ah, quindi vai a casa?”. Domanda a cui rispondo che no, non vado a casa, perche’ casa e’ Glasgow, dove c’e’ tutta la mia vita.

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      quello è il senso 🙂 ma, se posso chiedere, in Italia non c’è nemmeno un posto che chiameresti casa?

  5. È proprio vero che “la casa è dove c’è il proprio cuore”…detto irlandese

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Verissimo 🙂

  6. Claudia Lemmi dice: Rispondi

    Ciao Giulia, mi dai un consiglio? A breve passo da Barcellona e vorrei sapere se conosci qualche affitta camere o posti comunque economici dove dormire, magari che accettano pure cani 😀 Conosci niente?

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Uhmmm, sai che mi trovi impreparata sulla questione? Quando arriveresti e in che giorni? Posso indagare un po’ per vedere se qualcuno che conosco ha una stanza libera!

  7. Claudia Lemmi dice: Rispondi

    Manca ancora un mesetto, tra il 15 e il 20 di ottobre sono a Barcellona, mi fermerò per un paio di giorni soltanto (ma vorrò sfruttarli al meglio!). Ti ringrazio della disponibilità!

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      D’accordo, mi informo e vediamo 🙂

  8. Mi è piaciuto tantissimo questo post e mi sono emozionato…mi rivedo in ogni parola…
    Casa è dove ci siamo trovati/stiamo bene, mi piace pensare che un frammento di noi rimane lì quando andiamo via e lo possiamo ritrovare solo ritornandoci.
    Soffro di nostalgia a volte…non mi faccio capace di come il tempo passi così in fretta, gli anni prima ero lì immerso nella quotidianità felice affrontando l’inaspettato con la voglia di mettermi in gioco e ora sono qui risucchiato dalla realtà di dover andare avanti indaffarato senza la possibilità di ritornare tanto presto. Il bello è il brutto di viaggiare e affezionarsi purtroppo 🙂

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Capisco la tua nostalgia Alessandro, non è facile farci i conti e spesso non sappiamo più nemmeno noi dove preferiremmo vivere. Credo che sia un po’ la condanna di chi decide di emigrare e farsi una vita altrove…si rimane sempre un po’ spezzettati. Ti auguro comunque di poter tornare presto nei luoghi che ami!

  9. Ciao Giulia, ti auguro belli giorni a Barcellona, suppongo sei impegnatissima per riuscire a incontrare tutti quanti ma, se hai voglia e mezz’oretta, sarei tanto contenta di offrirti un caffè… (por cierto… ¿conoces algún buen café italiano en Barcelona?)

    Capisco benissimo di cosa parli, io dovevo tornare “a casa”, ma sono tornata per poco a Madrid, adesso sono a Barcellona, mi trasferisco qui con mio compagno (finalmente dopo 4 anni di relazione a distanza)… Dopo 13 anni a Madrid, 3 anni a Trieste, una quindicina di giorni a Madrid per prendere fiato e di nuovo scatole e trasloco… adesso Barcellona. Ero stata qualche weekend negli ultimi anni, quindi sto ancora conoscendo la città, questo è un periodo strano: non mi sento ancora a casa da nessuna parte, sto ancora “a cavallo” tra Madrid e Barcellona, quando sono nel treno sento la nostalgia di allontanarmi da casa ma, alla stessa volta, l’agitazione di arrivare a casa… E poi, mi mancano tante cose dalla Italia, più di quanto pensavo prima, ho ancora un po’ di “mal-di-Trieste”…

    Mi sono piaciute tantissimo le tue parole, penso che per noi emigranti casa sarà sempre quella dove arriviamo e sempre rimarrà un pezzo di noi in ogni parte in cui abbiamo vissuto…

    Ho letto Americanah questo state, mi è piaciuto tanto. Adesso rilego tutto quanto su Barcellona qui, mi risulta utilissimo, grazie per condividere tanti consigli preziosi!! 🙂

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Ciao Pilar, wow che notiziona! Quindi anche per te gran cambio! Sono felice se gli articoli che ho scritto ti possano essere utili, veramente…spero ti rendano più facile in qualche modo l’ambientazione nella nuova città! In che zona stai vivendo, scriviamoci in privato, io ora sono a Mallorca ma sono di passaggio a Barcellona da domani per due giorni!

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