Faccio colazione con il Guerriero al tavolo di ciliegio nero della cucina dei miei, di fronte al caminetto spento.
Mio padre è uscito per andare al lavoro, ma prima ha sistemato la legna nel camino, con la solita forma piramidale che riesce a dargli lui, i legnetti più secchi in fondo, appoggiati su carta di giornale, i legni più robusti a media altezza.
Ha lasciato i fiammiferi lì a fianco, e prima che mi alzassi mi ha chiamato per ricordarmi che se vogliamo possiamo accendere il fuoco, così state meglio.
Mia madre, anche lei uscita presto per andare a lavoro, ha lasciato la caffettiera pulita a fianco ai fornelli e me lo ha annunciato ieri sera, prima di andare a dormire. Fatevi il caffè con quella, e poi guarda qua, vi ho preso anche due accappatoi nuovi.
Faccio colazione con il Guerriero e gli dico che come al solito tornare a casa in Sardegna ha sempre lo stesso sapore, da qualche anno a questa parte.
Soprattutto lo stesso peso specifico, quello dell’infanzia a giocare per strada, dell’adolescenza chiusa in camera a ritagliarmi un mondo mio, dei tempi dell’università a studiare di fronte al camino, e poi di tutti i sensi di colpa, e le litigate e le domande esistenziali. C’è un sacco di roba, a cui lui non avrà mai accesso fino in fondo perché non so nemmeno da dove iniziare a spiegargliele, certe paturnie che sono impossibili da capire se non sei nato qui.
Così mentre faccio la doccia e mi muovo con i gesti meccanici del rituale del bagno in casa dei miei, mi rendo conto di quanto quel passato continui a starmi dentro e a farmi comportare da automa quando meno me l’aspetto.
Forse il peso specifico che mi cade addosso ogni volta che sto qui, specialmente in inverno, dipende anche dall’immutabilità delle cose che ritrovo anno per anno in questa casa e nei suoi dintorni.
- La certezza di iniziare la doccia avendo a portata di mano decine di bottiglie di prodotti da bagno. Ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le fragranze. Non riesco ancora a capire il perché di questo acquisto compulsivo di bagnoschiuma e shampoo che rimangono a metà.
- La radio del bagno sempre sintonizzata su Virgin Radio, che accendo automaticamente appena mi richiudo dietro la porta, reggendo sul braccio l’accappatoio.
- Il dito che spinge automaticamente l’interruttore della luce in corridoio, anche durante il giorno.
- Accelerare il passo quando salgo le scale di legno la sera, ché non sarò più una bambina ma certi fantasmi non mi hanno abbandonato mai.
E poi i suoni, e le luci di questa casa.
- La luce bianca bianchissima di camera mia, che è la stessa di quando mia madre la accendeva improvvisamente mentre io stavo rintanata a studiare con la luce soffusa dell’abat-jour.
- Il freddino secco che inizia ad appropriarsi delle nocche delle dita mentre scrivo al computer, con la differenza che ora—volendo—potrei accendere l’aria condizionata, ma poi mi sento soffocare.
- I campanellini appesi alla porta dell’ingresso che tintinnano ogni volta che qualcuno entra o esce.
- Il crepitìo della legna sul fuoco, che arriva fino qui, fino alla mia stanza.
- Il rumore del cancello in cortile, quello pesante, e l’immagine di chi lo sta aprendo o chiudendo. Mio padre lo fa estendendo un braccio dietro di se e spingendo forte, per esempio.
- Le voci dei miei seduti vicino al camino, che si raccontano le piccole cose della giornata.
In questo periodo natalizio, poi, il peso specifico si frantuma in piccoli dettagli che si raggrumano sul cuore.
- Il tacito calendario dei pranzi e delle cene in famiglia
- Gli andirivieni di mia madre con i suoi mi accompagni a fare la spesa?
- Il sollievo di rivedere le decorazioni natalizie al loro posto, dopo alcuni anni in cui nessuno sembrava aver voglia di dedicarcisi
- Il piccolo presepe con le stesse statuine di quando eravamo bambine, il pastore con la barba grigia e il mantello rosso, la signora con la brocca d’acqua sulla testa e gli occhi grandi e allegri, i Re Magi senza gambe nascosti dietro al muschio su una collina immaginaria. E il caganer che ho portato da Barcellona tre anni fa.
- I misteri malcelati dell’arriverà un pacco, state attenti al campanello
Le nocche mi si sono sfreddate, il pranzo è quasi pronto e mancano tre giorni a Natale. Due, se consideriamo la sera della Vigilia, la mia preferita.
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Che anche voi stiate tornando a casa per Natale o che vi ci troviate già, senza bisogno di viaggi, se sarà qualcuno a raggiungervi o se deciderete di rimanere soli—qualunque forma abbia il vostro Natale, che sia sereno e con un gradevole peso specifico ♡
Sono passati ormai diversi anni da quando anche io ero un’emigrante e tornavo per le feste. Le raccomandazioni della mamma sugli asciugamani, l’abbondanza dei prodotti da bagno. Il menù di Natale e le stesse statuine del presepe di quando ero bambina, quelli sono riti che si ripetono ancora oggi che sono tornata ma che a casa dei miei si perpetuano per le nipotine. Per un momento mi hai fatto rivivere il ricordo del ritorno a casa.
Un felice e sereno Natale anche a te!
Grazie Simo! Anche se passato, l’esperienza da emigrante difficilmente si dimentica 😉
Un abbraccio e sereno Natale!
Bellissimo, il calore della famiglia è il regalo più bello ;trattieni questi attimi con te e guardali come fossero oggetti preziosi .Con il tempo le cose finiscono ed intorno ai cinquant’anni ci si rende conto di come siano state più importanti di qualsiasi altra cosa al mondo.Auguri.
Grazie mille, Gio. Hai ragione, pur con i tanti nodi non risolti cerco di fissare questi momenti per iscritto proprio per averli più vividi in futuro 🙂
Auguri a te!