Trentaquattro gradi, dice il termometro, e nonostante le finestre spalancate e la porta aperta non entra uno spiffero d’aria che regali un po’ di refrigerio. È esattamente come durante i pomeriggi estivi della mia infanzia. Quelli lunghi, in penombra, nel silenzio del paesello addormentato dall’afa e nel vocio basso di una televisione lasciata accesa al piano di sotto.
Questa mattina ci siamo alzati tardi, spossati dalla lunga giornata al sole di ieri, la pelle ancora calda, i piedi irritati dalla salina de Su Giudeu. Ci ho affondato il piede ieri, mentre scattavo delle foto al paesaggio, rompendo la superficie immacolata del sale rappreso, e il mio piede è riemerso nero, avvolto in una melma scura di sabbia e acqua rancida.
È un po’ la metafora di quello che per me sono le vacanze in Sardegna.
Arrivo con il sogno delle giornate perfette di caldo e sole, di bagni al tramonto, di nuove località da scoprire- che l’isola e grande e non finisci mai di conoscerla tutta. Arrivo sognando, dicevo, e dopo qualche giorno subentra la realtà della solita vita qui. Quella che ti lascia inchiodata al letto di pomeriggio ad ascoltare il niente. La grande stanchezza al pensiero di organizzare gli spostamenti dal paesello. La noia di dover sempre chiedere un parere, perché bisogna far quadrare i programmi di tutti. Lo spazio per l’improvvisazione è poco, soprattutto se come me si cerca di stare qui senza macchina al seguito.
La Sardegna sarà anche un’isola meravigliosa, ma è grande, e senza un mezzo proprio è veramente difficile godersela a pieno. Scorrevo speranzosa i siti di eventi, rendendomi conto della ricchezza di appuntamenti interessanti in questo mese di Agosto, tra festival culturali e musicali, gastronomici o folcloristici. E mentre leggevo i programmi sognante già li eliminavo dalla lista delle possibilità: “troppo lontano” e “irraggiungibile con i mezzi pubblici”.
Venire in vacanza in Sardegna come sarda di rientro senza auto al seguito, vuol dire organizzarmi per stare nei dintorni e riuscire a raggiungere quello che si può con un treno o un autobus: e di solito, se escludiamo le grandi città, questo non equivale a poter arrivare nei pressi delle località di mare che preferisco. Per raggiungerle, mi devo tipo sorbire code interminabili sotto i tettucci incandescenti dell’auto dei miei, scenario imprescindibile del fine settimana, con le file di auto che partono da Cagliari alla volta della zona di Chia.
Mi sono avventurata nella consultazione dei siti di noleggio auto per vedere se riuscivo così a risolvere il problema. Ma mi sono arresa di fronte alla realizzazione che noleggiare un’auto per una settimana equivale a pagare un mese di affitto, irrealizzabile. Poi penso che, magari, allargando il fine settimana, possiamo stare in un B&B e goderci due giorni di spiaggia senza spendere un’ipoteca: ma rinuncio quando la località che scelgo propone soluzioni in cui si richiede di pagare 5€ al giorno per l’aria condizionata, in aggiunta a un prezzo che è quello di una stanza media in hotel. La verità è che ho poca voglia, vago con pigrizia su Booking e mi chiedo se ne valga veramente la pena. Mi chiedo seriamente quale esperienza di vita passata mi renda così arrendevole quando metto piede qui.
Rimango una di quelle sarde di ritorno che si fanno le vacanze in Sardegna senza spendere nulla in alloggio, perché tanto una casa qui ce l’ho, anche se è lontana dal mare e ha vista montagna, pur se mezza bruciacchiata dagli ultimi incendi. Ah, perché questa è un’isola incontaminata -dicono, dove vieni per guardare il tramonto e godere della bellezza della vita -vaneggiano i commenti in questi giorni in cui sui social si sta tanto parlando di Sardegna e dei suoi servizi.
La retorica, ci piace tanto qui in Sardegna. Ci piace usarla come se decantassimo poesie, ci si illuminano gli occhi quando parliamo della nostra isola. E delle spiagge che come le nostre, da nessun’altra parte. E dei profumi, che manco gli dei sull’Olimpo. Infatti ieri, mentre attraversavamo in macchina sotto un sole impietoso, le colline morbide del Campidano che si trasformano in Iglesiente, erano nere come la pece. Perché in Sardegna amiamo così tanto la nostra isola che ogni anno la dobbiamo bruciare pezzo per pezzo, e poi piangere lacrime amare.
Eppure quello che prevale sulla mia bacheca Facebook sono le foto dei miei contatti sardi al mare. Che decantano i colori dell’acqua, onde che arrivano leggere sulla battigia, scogli da cui farsi il selfie perfetto. Come se si facesse a gara a chi pubblica il blu più smeraldino, la spiaggia che fa più invidia, la vacanza che genererà più like o invidie fra i colleghi continentali. Gli stessi che quando tornerai in ufficio ti controlleranno l’abbronzatura.
Siamo la retorica e la lamentela continua, il selfie e la critica, il campanilismo e il senso di inferiorità. Io intanto me ne sto qui, a sudare in attesa che le ore si facciano più fresche per poi andare a una sagra della bottarga.
Riusciremo mai a utilizzare la nostra libertà di parola senza pensare di essere sempre i migliori in qualcosa? E a prendere le critiche costruttive per quello che sono senza sentirci offesi come se ci avessero ammazzato il gatto?
Ecco perché alla fine non sono tornata. Se a tutto questo aggiungi una famiglia di mentalità non esattamente aperta completi il quadro. Meglio da sola, mi sono riposata di più.
Se senti di esserti riposata di più, hai fatto bene 🙂 non siamo obbligate a tornare, ci hanno un po’ abituati a pensare che solo in Sardegna si possa stare bene…grande illusione 😉
infatti da quando siamo a parigi e abbiamo il piccolo, facciamo i turisti: macchina a noleggio, casa al mare…. costa un sacco ma almeno non ho lo stress di dipendere dagli altri, e stiamo un po a conto nostro…
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