La fortuna di avere un passaporto bordeaux

poster di un planisfero - passaporto bordeaux

Di quando una semplice conversazione al telefono mi ha fatto ricordare della fortuna di essere nata in un Paese con un passaporto bordeaux.

Mentre parlo al telefono con mia madre del viaggio che io e il Guerriero faremo durante la Settimana Santa, mi ritrovo a dire

Dopo tanto tempo, finalmente possiamo muoverci liberamente senza pensare alle frontiere

Sembra un sciocchezza; eppure solo l’anno scorso, in questo periodo, avevamo dovuto rinunciare a un viaggio già programmato in Slovenia perché ci eravamo dimenticati di un dettaglio: il Guerriero si trovava in uno dei suoi periodi di ”limbo”, il periodo di rinnovo del permesso di soggiorno, durante il quale non è consentito viaggiare in altri Paesi dell’Area Schengen. Avevamo rimediato con un cambio di programma e un comunque bellissimo viaggio a bordo di un Flixbus fra Trieste e Napoli.

Che contraddizione, vero?
Ci pregiamo di vivere in quella che chiamiamo l’Unione Europea, l’unione senza frontiere, e nemmeno ci pensiamo, noi che siamo nati in Paesi con un passaporto bordeaux, che, per chi viene da lontano, attraversare i confini fra un Paese europeo e l’altro non sia sempre semplice.

Cosa succede quando non possiedi un passaporto bordeaux

Ci rendiamo seriamente conto del limite solamente quando qualcuno vicino a noi si trova nel limbo.
A me è successo così.

Da quando io e il Guerriero stiamo insieme, uno degli aspetti che ha reso difficili certi aspetti della nostra vita  è stata la burocrazia. E il fatto che ben pochi (o nessuno?) Paesi europei, per quanto liberali possano sembrare, rendono la vita facilissima alle persone extra-comunitarie. Vi faccio immaginare quanto sia facile in Italia (e la Spagna le fa concorrenza).

C’è sempre una scadenza da rispettare, dei fogli da presentare, delle clausole da non dimenticare.
Perché basta un attimo di distrazione per scombussolarti la vita ed entrare in un girone infernale di burocrati, uffici e, quando va proprio male, avvocati.

L’anno scorso, quando ancora vivevamo a Genova, avevamo ingenuamente pensato a un viaggio in Slovenia senza considerare il piccolo dettaglio: in quel periodo il Guerriero non si sarebbe potuto muovere dall’Italia.
Il problema in realtà non è uscire dall’Italia: quello si può fare, nessuno ti controlla, quando vai via.
Il problema è rientrare.
Rientrare a casa tua, quella per cui paghi l’affitto, quella in cui hai sistemato le tue cose, quella che si trova nella città in cui lavori.
Se attraversi la frontiera durante il periodo di limbo, e hai abbastanza sfortuna da essere beccato mentre rientri, sono cavoli amari.
Noi non avevamo rischiato, perché con le distrazioni abbiamo già avuto brutte esperienze in passato.
Rode tanto, tantissimo, il fatto che il limbo non sia una condizione passeggera, una cosa che si risolve con qualche giorno di attesa.

No. Il limbo ti catapulta in un atto di Aspettando Godot.
Inizia nel momento in cui presenti le pratiche per il rinnovo del permesso.
Consegni la domanda e ti comunicano la data in cui dovrai presentarti per lasciare le tue impronte digitali: esci dall’ufficio immigrazione con la fantomatica ricevuta, identica a quella che ricevi quando invii una raccomandata in Posta.
Un pezzetto di carta da conservare gelosamente, che segna l’inizio del limbo: da quel momento, se vuoi, puoi uscire dall’Italia, ma potrai rientrare solo senza passare da un altro Paese europeo.
No, non ci puoi nemmeno fare uno scalo in aeroporto.
Qualsiasi viaggio fuori dall’Italia deve essere extra-europeo, in ogni suo momento.
Un’amica colombiana, che aveva prenotato un volo per la Colombia a Natale, pensando ingenuamente che avrebbe ricevuto il permesso entro quella data, non era potuta tornare dalla famiglia perché il suo viaggio prevedeva uno scalo in Spagna.

Perché il limbo si chiama così anche per via del fattore tempo

Una volta che avrai lasciato le tue impronte digitali, all’ufficio immigrazione ti saluteranno dicendo che il nuovo permesso potrebbe arrivare in 2 mesi come in 6. Nessuno è mai sicuro di niente:

Perché sa…dipende tutto dai tempi di Roma

E quando senti quella frase sai già che dovrai sederti su una pietra e aspettare.
Alcuni cari amici che facevano il dottorato in Italia hanno aspettato quasi un anno. Dalla serie che, quando finalmente è arrivato il permesso di soggiorno, era già ora di presentare i documenti per il rinnovo dell’anno successivo. Quasi due anni nel limbo, senza potersi recare a colloqui di lavoro in altri Paesi Europei, senza poter vedere la famiglia perché i voli senza scali nello Spazio Schengen erano troppo cari.

La mia prima esperienza in un ufficio immigrazione è stata nella cittadina di V., una stanza angusta affollata di famiglie e studenti, tutti diversi fra loro ma accomunati da una dettaglio: avevano tutti un passaporto di un colore diverso dal bordeaux. Che fossero africani, americani o asiatici, erano lì tutti per lo stesso motivo: ottenere il pezzo di carta che desse loro la tranquillità di sentirsi, almeno per un periodo determinato, a casa.

Dove casa vuol dire avere nel portafoglio un documento di identità da presentare alla polizia quando ti ferma per strada, per dimostrare che sì, sei legale.
Dove casa vuol dire avere un posto da cui partire per le vacanze, e a cui tornare, senza che nessuno ti blocchi alla frontiera per accertamenti.

I colori dei passaporti dicono di noi molto più di quello che pensiamo

Il nostro passaporto bordeaux dice che siamo cittadini europei, liberi di muoverci in Europa ma anche in moltissimi altri Paesi del mondo.
Senza bisogno di sbatterci a chiedere un visto, o di vederci negato l’ingresso in un Paese per ragioni di sicurezza interna.

Per capire esattamente di cosa parlo, andate a farvi un giro sul sito di Passport Index.
Giocate con la sezione Compara; prendete ad esempio l’Italia —che ha un punteggio free-visa di 161, cioè possiamo andare in giro per 161 Paesi al mondo senza quasi chiedere permesso— e confrontatela con un altro Paese extra-europeo. Magari quello del fruttivendolo pakistano, della parrucchiera cinese, della studentessa colombiana, fate voi.

Abbiamo un potere enorme fra le pagine del nostro passaporto. Ci ho ripensato ora, mentre finalmente dopo tanto tempo ho potuto dire con naturalezza che io e il Guerriero attraverseremo la frontiera per passare qualche giorno all’estero.
Che liberazione non dover pensare al limbo, questa volta.

Foto di copertina: il planisfero che decorava una delle pareti della prima casa in cui abbiamo vissuto a Genova.

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10 risposte a “La fortuna di avere un passaporto bordeaux”

  1. In effetti sono cose a cui non capita di pensare, abituati come siamo passare alcuni confini senza problemi.

    1. Come per tante cose, ci soffermiamo a pensarci su solo quando la realtà ce lo impone 🙂 Io non lo avevo mai realizzato con tanta forza prima di conoscere il Guerriero.

  2. Sì,abbiamo un gran potere ed una grande fortuna tra le mani..e spesso non ce ne rendiamo conto

    1. Non ce ne rendiamo conto, e a volte ci permettiamo anche di denigrare certi diritti senza conoscere veramente la fatica e le scartoffie che ci stanno dietro 🙂

  3. E’ vero, è davvero una grande fortuna il passaporto Bordeaux! Ricordo un’amica americana che non poteva più uscire dal Belgio, situazione piuttosto ironica considerando che qualsiasi viaggio in treno di più di un’ora l’avrebbero fatta uscire dal Paese.
    Quando io stavo in America non è stato un problema perché avevo un visto che copriva tutti e quattro gli anni (anche se dovevo notificare ogni volta che uscivo), però una delle ragioni per cui ho deciso di tornare in Europa è proprio stata quella di voler essere cittadina, e non avere da attraversare un limbo legato a visti e permessi di soggiorno.

    1. Esatto, sapere di non doversi affidare a visti e burocrazia è un dettaglio preziosissimo. Povera la tua amica, sentirsi rinchiuse nel buchetto del Belgio non dev’essere piacevole!

  4. Cara Giulia, che bello il tuo blog! Sto leggendo un po’ di post sparsi e sono davvero contenta di averti trovata. 🙂

    1. Ma grazie, Valentina, mi fa veramente piacere, bello vederti qui 🙂

  5. Le disparità burocratiche sono uno dei motivi per cui anche io ho voluto avere due cittadinanze, le stesse di mio marito. Anche se devo dire che non ho mai sperimentato discriminazioni per non essere cittadina (a parte non potere votare alle presidenziali ma solo alle amministrative e avere sul mio documento d’identità la scritta enorme in rosso EXTRANJERO), ho pensato a casi estremi come guerre e magari il trasferimento in un altro paese del Mercosur (la nostra versione della UE) senza avere bisogno di permessi. Insomma, il secondo passaporto è un piano B.

    In Spagna non si può richiedere la residenza permanente sulla base della convivenza con un cittadino UE?

    1. Al secondo passaporto ci sto pensando anche io, potrebbe sempre far comodo.
      In Spagna sì, si può chiedere il permesso di soggiorno di lungo termine per familiare di cittadino UE (è quello che ha il Guerriero), ma va comunque rinnovato ogni 5 anni se non sbaglio.

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