Trentenni, #fertilityday e tutti i “magari” che ci hanno portato fino a qui

Sarà che tre anni di lavoro in una clinica di riproduzione assistita lasciano una cicatrice che fatica a chiudersi, per cui le antenne si drizzano al solo sentire la parola fertilità. Se poi ci abbiniamo delle immagini da pubblicità progresso anni ’90 e una scelta lessicale degna di manifesti d’altri (brutti) tempi e delle peggiori cene in famiglia (“Datti una mossa!”, Privilegio della Maternità ?!?), divento proprio la regina del facepalm.

facepalm

Progettare un Piano Nazionale per la Fertilità, 137 pagine che riassumono una serie di iniziative che dovrebbero sensibilizzare la popolazione sul tema della bassa natalità, è un obiettivo importante. Perché diciamocelo, l’Italia non è esattamente un Paese giovincello – e siamo in gran bella compagnia, eh, qui nel vecchio continente europeo.
Quindi parliamone.

Leggo il documento:

L’attuale denatalità mette a rischio il welfare. In Italia la bassa soglia di sostituzione nella popolazione non consente di fornire un ricambio generazionale. Il valore di 1,39 figli per donna, nel 2013, colloca il nostro Paese tra gli Stati europei con i più bassi livelli.

Come al solito, la baraonda dei social si esprime a ferro e fuoco sull’iniziativa, e purtroppo sono bastati i claim d’antan per focalizzare l’attenzione: e riconosco che anche io mi sono infiammata nel vederli.

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Seriously? Sembrano le frasi che durante un pranzo in famiglia diventerebbero l’incipit per una di quelle discussioni al vetriolo che rovinano anche le giornate estive più anguriose.

Oh, voi politici e agenzie di comunicazione, avete toppato!

Però in parallelo continuo anche a scorrere il pdf emanato dal Governo e leggo questo:

L’età femminile governa la fertilità. Le giovani donne devono sapere che la “finestra fertile” femminile è limitata e vulnerabile e che la qualità degli ovociti si riduce al crescere dell’ età particolarmente dopo i 35 anni quando concepire un bambino diventa progressivamente sempre più difficile. […] La medicina con la PMA può aiutare la fertilità naturale ma non sostituirla. Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) rappresentano un’opzione per il trattamento della sterilità, ma non sono sempre in grado di dare un bambino. Anche per i trattamenti di PMA l’età della donna rappresenta il fattore che più riduce la possibilità di avere un bambino: dopo i 45 anni la possibilità di avere un bambino con i propri ovociti attraverso le tecniche di PMA è aneddotica.

Se leggendo questo documento il primo pensiero è quello di accusare il Governo che non ci permette di avere figli, mi viene poi in mente anche un altro pensiero: stiamo sbagliando anche noi.
Perché sul tema della fertilità e delle tecniche di PMA c’è ancora tanta, tantissima ignoranza. Anche fra le persone mie coetanee, che magari non hanno ancora avuto modo di porsi il problema per motivi professionali o sentimentali.
Eppure il problema esiste, soprattutto in un Paese come il nostro – che ci dà ben pochi strumenti per rimediare e dove la legge 40 domina ancora sulle nostre teste, nonostante le tante lotte per cambiarla [ma vi ricordo che il referendum del 2004 è stato fatto fallire, con un allucinante 74% di astensione – e ora questa cifra sembra dimenticata].

Non ricordo più quante volte durante il lavoro in clinica ho dovuto spiegare alla paziente di turno over 45 che no, inutile continuare a chiedere di provare a fare un trattamento con i suoi ovociti.
E che no, Carmen Russo avrà pure detto su “Gente” che c’è riuscita a fare tutto da sola a 53 anni, ma da qualche parte una donante anonima si è dovuta stimolare al posto suo. Garantito.
E visto che ci siamo, smettete di leggere certe rivistacce.

D’altra parte si parla anche molto poco del fatto che la nostra fertilità non sia un dono che si estingue con la menopausa, ma ahimè molto prima. Ma molto.

E fa male saperlo, oh se fa male. Fa male anche parlarne giorno per giorno con chi questo problema lo sta affrontando in presa diretta, con chi da anni si punge di ormoni e spera che a fine mese il ciclo non arrivi. Fa male considerare che il nostro orgoglio di essere donne indipendenti e che decidono della loro vita (quindi anche del loro utero) mal si combina con la nostra fisiologia.

Per cui, per quanto questa immagine mi faccia rabbrividire, il messaggio che propone mi fa anche riflettere. La nostra fertilità un’età ce l’ha, e pure ben definita.

E allora, dobbiamo o no sentirci un po’ in ansia per questo orologio biologico che sentiamo ticchettare ma non sappiamo se o quando vorremo assecondare?
Il Ministero della Sanità la pensa così:

Il messaggio da divulgare non deve generare ansia per l’orologio biologico che corre – il tempo costituisce già per la donna moderna un fattore critico quanto piuttosto deve incentrarsi sul valore della maternità e del concepimento e sul vantaggio di comprendere ora, subito, che non è indispensabile rimandare la decisione di avere un figlio.

Paternalismo ne abbiamo?!
[Parlo io, poi, che ho dovuto lasciare il lavoro in Clinica perché non sopportavo più di mettere costantemente in discussione le mie scelte di fronte a questa fisiologica consapevolezza.]

Non è indispensabile rimandare la decisione di avere un figlio.
Non è indispensabile ma ci ritroviamo molto spesso a farlo.

In attesa di una stabilità di coppia.
In attesa della fine dello stage.
In attesa di mettere una firma su un contratto vero, con ferie e malattia pagate.
In attesa di fare un colloquio di lavoro in cui non mi cerchino la fede al dito.
In attesa di poter pagare un affitto senza essere risucchiata nel vortice del fine mese.
In attesa che gli asili pubblici siano di vero sostegno alle coppie lavoratrici, e non si basino solo ed esclusivamente sul reddito.
In attesa che la legge permetta anche a una donna single o a una coppia omo di fare la loro parte nella procreazione di questo paese.

E qui inizio a svalvolare, in un crescendo di incoerenza fra alcune delle affermazioni giuste che leggo nel Piano Nazionale per la Fertilità e quello che vedo nella realtà che mi circonda. Incoerenza. Paternalismo. Sentore di una comunicazione sessista che, come al solito, mette il carico da novanta sulle donne. Le “donne moderne”, qualsiasi cosa questo voglia dire.

Perché io sono d’accordo che sia necessario informare, e informare bene, le persone.

Ma vi ricordate come ci avete cresciuto, a noi trentenni di oggi?

A 15 anni invece che insegnarci che non è sbagliato avere dei preservativi in borsa, preoccuparci della nostra salute sessuale o saper distinguere tra quello che vogliamo davvero e quello che ci costringono a fare, avete preferito proibire direttamente, bloccare il problema sul nascere. Farci confessare i nostri peccati, invece che insegnarci l’autodeterminazione.

A 20 anni ci avete detto che dovevamo iniziare l’Università, studiare per avere un futuro migliore, possibilmente una facoltà richiesta sul mercato, per avere più probabilità. Probabilità di fare stage a 400 € al mese e “vivere d’amore”, come mi dicevano i colleghi miei coetanei della fabbrica di cioccolatini, quelli che Università non ne avevano fatto, ma lavoravano già da qualche anno a stipendio pieno. Ci avete detto anche che meglio tenersi stretto quel bravo ragazzo con cui iniziare a pensare a un futuro insieme, piuttosto che sfarfallare troppo, che non c’è tempo da perdere.

A 25 anni, già che la laurea c’era, si poteva finalmente pensare pensare al lavoro, a mettere marche da bollo per partecipare senza speranza a un concorso pubblico, a inviare 250 curriculum per uno stage 6+6 (mesi) con retribuzione da 0 a 700 € se proprio proprio andava di lusso.
Sii furba, ci dicevate, non dire che sei fidanzata, non pensare ai figli che è troppo presto, trova prima lavoro, sistematevi, trovate casa, magari aspettate che vi facciano il tempo indeterminato. Aspetta.

A 30 anni hai già cambiato n+1 lavori, sei passata dallo stage al cocopro, una fila di contratti a tempo determinato con diversi datori di lavoro, ti si prospetta forse-finalmente-se-fai-da-brava il contratto a tempo indeterminato.
Però ci fidiamo di te eh, non ci devi fregare, non è che ti facciamo l’indeterminato e poi rimani incinta, no?

Aspetta, ci avevate detto.
Aspetta di avere quello che tutti vorrebbero.

E anche quando i figli li facciamo, e usiamo per tempo ‘sti benedetti ovociti quando ancora sono in salute, non vogliamo nessun applauso per questo – ma più supporto sì. Un contesto lavorativo in cui la maternità sia accolta con felicità, e non come un tradimento al tuo capo. Un contesto sociale in cui appena hai gettato il cordone ombelicale del primo, non ti stanno già chiedendo quand’è che fai il secondo. Un contesto in cui, comunque vada, non ti romperanno le ovaie.

Ho provato a dargli credibilità, a questo Piano Nazionale per la Fertilità, e su alcuni punti sono d’accordo.
Sono convinta che debba veramente essere dato più spazio a temi che riguardano da vicino tutti, uomini e donne.
Perché credo che la fertilità sia un bene comune sul serio, se con fertilità intendiamo la cura di un aspetto importante della salute umana tutta.

E lo so che tocca sempre a noi donne portare la carretta di quelle che prendono la decisione per il “bene comune”.
Ma ricordiamoci che siamo anche libere di dire no, di dire io non me la sento, io non voglio essere madre.  Possiamo essere libere, anche se molte volte ci sembra il contrario.
Possiamo fare quello che ci sentiamo, invece di ascoltare quelli che pensano di sapere meglio di noi cosa fare del nostro utero. E magari possiamo sentirci meno in colpa, nei confronti della nostra famiglia e pure del Governo e delle sue “pubblicità regresso”.
Ma è anche vero che non c’è un’alternativa alle nostre ovaie.
Ed è giusto sapere che le decisioni che prendiamo oggi, qualunque esse siano, non sono reversibili.

Mi metto ansia da sola, lo so.

(Se non abbiamo voglia di leggere tutte le 137 pagine del documento, ma vogliamo riflettere sul tema con obiezioni ponderate, vi consiglio di leggere questo post: Per te che non hai figli #fertilityday).

11 risposte a “Trentenni, #fertilityday e tutti i “magari” che ci hanno portato fino a qui”

  1. Che dire… Bellissimo post, e avrei tanto, tantissimo da commentare se avessi le idee chiare su quello che vorrei fare del mio futuro, ma sono colpevole del mettere da parte certi pensieri e non aver mai voluto chiarirmi le idee al riguardo…

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Siamo in due, non ti preoccupare 😉

  2. Argomento scottante. Io credo che adesso si voglia porre rimedio ad una situazione generale che sta vedendo il nostro Paese collassare. Già, perchè, oltre ai problemi sociali ed economici, in primis, che sono sotto gli occhi di tutti noi ogni giorno, non si può passare sotto silenzio il fatto che la progressiva diminuzione del tasso di natalità proceda di pari passo con l’aumento del numero di femminicidi. Qualcosa non mi torna o forse c’è una relazione tra questi due fenomeni che lascia spazio ad altre importanti riflessioni? Escludendo i pochi casi di coppie affiatatissime e senza problemi economici, viene da chiedermi se il problema sia la donna con le sue ovaie poco efficienti o il maschio-uomo italiano che non sa più chi è e cosa vuole dalla vita. Perchè, questo voglio dirlo, molte papabili donne fertili si accontentano di stare per anni con uomini dalla dubbia identità con cui vorrebbero anche mettere in atto la loro capacità riproduttiva, salvo poi rendersi conto che non basta uno spermatozoo a garantirti una famiglia amorevole ma molto di più. E allora chiediamoci se forse non sia il caso per l’uomo, non per la donna, di ridefinire il proprio ruolo, i propri valori e le proprie responsabilità nel rapporto di coppia. Ma questo, per la collettività, sarebbe un’offesa indicibile. Meglio, comunque, addossare la colpa alle donne e alle loro ovaie vecchie. Sì, è molto più semplice!

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Punto di vista veramente interessante, Linda, grazie per lo spunto! Si parla effettivamente così tanto del nuovo ruolo della donna, delle sue aspirazioni, conciliazione lavoro e famiglia…ma come dici tu, siamo cambiati tutti, uomini e donne! Anche gli uomini dovrebbero essere parte di questo processo di ridefinizione dei ruoli e responsabilità dentro il rapporto di coppia. Una tendenza vecchia come il mondo, quella di dar la colpa alla donna. Ma sai quante volte – giusto per rimanere in tema fertilità – il problema sta nell’uomo ed è la donna a sentirsi comunque in colpa ? Ne ho viste e sentite così tante…

  3. Ho letto con molto interesse il tuo post, cara Giulia, perchè sapevo che ne avevi da dire. Devo dire che mi trovo molto allineato con il tuo pensiero, anche per me la campagna avrebbe avuto un senso se proposta e comunicata in modo corretto. In questo credo che il Ministero della Salute abbia una responsabilità, non si può poi rimbalzare il polpettone con il ministero del welfare, che dovrebbe costruire le politiche sociali di supporto alla famiglia. Una volta spiegato, tutto appare chiaro e capisco perchè la Lorenzin sottolinei che è una campagna del ministero della Salute, quindi affrontando in maniera specifica l’aspetto fertilità. Però è stata spiegata e proposta malissimo.
    Un piccolo appunto al commento di Linda: non sono così convinto che ci sia un legame tra tasso di natalità basso e femminicidi. Mi sembra un legame un po’ fragile. Se vogliamo dire che la donna ha assunto un ruolo molto più dominante nella società contemporanea, con la difficoltà da parte dell’uomo di adeguarsi a questa nuova realtà, posso essere d’accordo. Sul fatto che si facciano meno figli, io credo che oltre alla lista di Giulia, ci sia anche la (accettabile) non voglia di maternità. Una donna può decidere di non voler fare figli. Che questo cozzi con il pensiero comune, siamo d’accordo. Che questo però possa essere l’anticamera dei femminicidi, ho invece qualche dubbio.

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Ciao Stefano, per me è abbastanza angosciante vedere come di fronte a una gaffe così grande, la nostra classe politica cerchi sempre una giustificazione. Rimbalzare il polpettone dovrebbe essere dichiarato sport nazionale, visto che la vedo come una caratteristica molto nazional-popolare, insieme alla polemica facile. Quindi ahimè, opportunità sprecata per affrontare con coscienza un tema importante riguardante la salute di tutti. Leggendo i commenti in giro per la rete sono rimasta molto colpita da come il tema della fertilità come elemento di salute sia saltato fuori molto poco. Si è parlato molto di offesa alle persone che non riescono ad avere figli (vero, condivido) ma credo che ben poche persone si siano chieste cosa sanno veramente della fertilità, dei suoi meccanismi e di certi sintomi che possano essere segnale di un problema.
      Dovremmo anche parlare di più, a mio parere, di quella che tu chiami la non voglia di maternità – è ancora troppo un tabù. Sul tema femminicidi, si aprirebbe una voragine di dialogo su cui non finiremmo più di parlare e fare collegamenti. Non lo vedo legato al problema natalità, ma si al tema dell’autodeterminazione femminile. Ma tutto questo andrebbe affrontato in un altro post 😉

      1. Sono molto d’accordo. Il tema dei femminicidi è un tema troppo ampio e concordo che sia legato al cambiamento del ruolo della donna nella società contemporanea.

  4. Sì, Stefano, mi rendo conto che il rapporto evidenziato nel mio commento non sia così immediato. La mia non vuole essere una posizione generalista ma si riferisce al fatto che ad incidere sulla procreazione sia anche la natura delle relazioni tra l’uomo e la donna. Il processo di cambiamento che riguarda il ruolo le donne è in corso già da alcuni decenni ma l’uomo sembra non averlo ancora assimilato, per non dire accettato. Ne è testimonianza il crescente numero di femminuccia verificatisi in questi anni. In tal senso, il decremento demografico in corso rispecchia, a mio parere, la natura di questi rapporti, oltre che, in primis, la crisi economica che ne fa da sfondo. Io penso che l’invito alla procreazione, inteso come necessità di aumentare il numero di individui in vista del welfare, non possa essere una soluzione. Lo sarebbe, a mio avviso, un ripensamento di valori sui quali dovrebbe poggiare la famiglia, dalla cui solidità dipende il futuro di un contesto sociale. Prima di questo, però, è necessario che cambi anche il rapporto tra l’uomo e la donna.

  5. “Femminicidi” non “femminuccia”…immagino abbiate contestualizzato il refuso 🙂

  6. Bel post, condivido. Anche io penso che la campagna abbia un senso e che le motivazioni del Ministero della Salute siano più che legittime, malgrado l’onda dei soliti indignati. Forse in termini di comunicazione sarebbe stato molto meglio parlare di “infertilità”, così come si parla di tanti altri problemi che riguardano la salute e le casse dello stato.. Per come l’hanno concepito questa sembra (non è, ma sembra) una campagna per convincere le donne a darsi una mossa a procreare, e non a preoccuparsi della propria salute riproduttiva (che è ben diverso!). Poi per carità, è vero che la comunicazione non è esclusivamente immagine e dietro alle immagini c’è un contenuto articolato, ma un professionista della comunicazione deve sapere che la parte grafica sarà l’unica su cui la maggior parte della gente si soffermerà. Personalmente sarei contenta se lo stato si affidasse a professionisti della comunicazione un po’ più seri e a latere facesse anche una campagna di prevenzione fattiva delle malattie causa di infertilità.

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Si Szandri, sono d’accordissimo con te. Affrontare il messaggio direttamente con il termine “infertilità” avrebbe forse avuto un effetto diverso. Le intenzioni non sono difendibili quando vengono comunicare in questo malo modo, proprio no. Fai cadere tutto il messaggio, e dopo questa seconda locandina cadono proprio le braccia.

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