Sono appena tornata a casa dopo un Primo Gennaio Duemiladiciotto lunghissimo.
Qui sotto casa sta passando il camioncino dei rifiuti, ha la sirena accesa come ogni sera verso le 23:20, pochi secondi e ripartirà. Per il resto non si sentono molti altri rumori, c’è ancora quell’atmosfera ovattata di prime ore dell’anno, che sanno di letargo e indecisione sul da farsi.
Forse anche per via di quel sapore lì il Primo Gennaio di qualsiasi anno mi ha sempre messo una certa malinconia addosso.
Stavo provando a spiegarla al Guerriero questo pomeriggio, mentre ciondolavamo in stato semi-incosciente sul divano, cercando di far fruttare al meglio il breve lasso temporale fra la colazione (molto) tardiva post cenone a casa di amici e il momento di uscire di nuovo, per una merenda in un’altra delle nostre case-cuore di Barcellona.
Credo che questa malinconia sia dovuta a qualcosa di simile all’abbandono della comfort zone.
Un anno che passa finisce per essere, volente o nolente, una specie di cuscino di comfort da cui devo staccarmi.
La parte irrazionale di me vede quel voltare pagina su un calendario nuovo un salto nel buio.
Un’atavica paura con echi di ohiamommiatiarrori verso il nuovo che avanza, un nuovo numero da appendere al millennio che chissà come ricorderemo in futuro.
La parte razionale di me prenderebbe invece volentieri a schiaffi quell’altra. La parte razionale che non ha fatto che abbracciare il cambiamento negli ultimi anni, che nel resto dei 364 giorni dell’anno considera il tempo come una macchina perpetua e ciclica che non avrebbe senso chiudere e riaprire ogni 12 mesi.
La parte razionale di me che cerca di scrollarsi addosso la malinconia ripetendosi che si tratta di uno stato passeggero, dovuto al momentaneo fermarsi della routine.
La città che ancora porta i segni dei bagordi festivi del 31, la metro sporca, la coppia che si avvia alla stazione dei bus con i vestiti della festa, lei su due tacchi vertiginosi ricoperti in velluto nero, io che la guardo e penso che sono le 11:30 del mattino del 1˚ Gennaio e come ha fatto a stare sui quei tacchi fino a ora.
Poi mi ricordo che sono le 11:30 anche per me, che non ho i tacchi ma nemmeno voce, e ho iniziato l’anno dormendo su un materassino gonfiabile in una casa non mia e senza che il trucco si sbavasse di un solo millimetro.
Mi infastidisce questa pigrizia del Primo Gennaio di qualsiasi anno, che sia la mia o quella della città.
Per questo, dopo aver provato a spiegare al Guerriero questa sensazione, gli ho fatto anche gli occhi dolci per convincerlo ad alzarsi dal divano e uscire all’aria aperta insieme a me.
Andiamo, usciamo, viviamo, non rimaniamo qui spalmati sui cuscini, che mi viene l’angoscia.
Abbiamo preso un taxi per arrivare in cima alla città, facendo in 10 minuti un percorso che in metro avrebbe richiesto quasi un’ora, finendo intorno a un tavolo a giocare a tombola napoletana con i numeri estratti letti in arabo, in italiano e un po’ in francese.
Ci ho provato a scacciare la malinconia tirando giù un fico secco zuccherato dopo l’altro, ma vi devo confessare che non ci sono riuscita tantissimo.
Ma poi la mia amica R., salutandomi sulla porta, mi ha ricordato che stavo semplicemente cadendo dentro un copione già visto e rivisto. La scaramanzia invece dell’entusiasmo, la nostalgia di quello che teoricamente finisce invece che l’attesa delle novità che verranno.
La mia parte razionale è stata molto d’accordo con lei e ora non vede l’ora che sia il 2 Gennaio.
Ciao Giulia, hai una pagina FB o Instragram in cui seguirti?
Ciao Gia, no, non ho Facebook né Instagram, qui spiego perché: https://trentanniequalcosa.it/donna-di-trent-anni-e-qualcosa/perche-chiudere-il-mio-account-facebook/
😉
Arrivo tardi per gli auguri di buon 2 Gennaio? 🙂
Mai, me li faccio valere tutto l’anno! 🙂