Avete mai pensato a che tipo di genitori vorreste, o avreste voluto, essere?
Io ci penso molto spesso, pur non avendo bisogno concreto di farlo ora.
Non sono incinta, non ci sono progetti di maternità nel breve termine, chiarisco.
Me lo chiedo perché questa storia della relazione genitori figli è un bel casino.
Anche quando non si tratta dei propri genitori, anche quando non si parla dei propri figli.
Perché alla fine mettiamo il nostro essere figli anche nelle relazioni con le altre persone.
Assorbiamo quello che i nostri genitori ci hanno dato, insegnato, tolto —a volte a ragione, a volte a torto— e lo ributtiamo nella mischia dei rapporti con le altre persone che ci gravitano attorno nel corso della vita.
È un bel casino, perché a volte certi sassolini nelle scarpe finiamo per toglierceli nel modo o con le persone sbagliate.
E che dire di come noi stesse ci consideriamo, o pensiamo di dover essere, solo perché così ci è stato insegnato?
Quanto è dura riconoscere a se stesse che siamo diventate altro, che certe etichette ci stanno ormai troppo strette, che non siamo più definibili con gli stessi canoni con cui venivamo definite da bambine e adolescenti?
Non posso saperlo, ma quanto costa anche a un genitore fare lo stesso tipo di considerazione?
Non lo so, magari provo a immaginarlo; ma se qualche genitore passando di qui me lo volesse spiegare sarebbe il benvenuto.
Se qualche tempo fa scrivevo di quanto mi piaccia avere trent’anni e qualcosa, riconosco che alla soglia dei 35 anni sono anche stanca di dovermi giustificare per questo.
Sono contenta di quello che sono, mi piaccio.
Mi piace quello che faccio, mi piacciono gli obiettivi che mi pongo, mi piacciono le persone con cui decido di condividere il mio tempo.
Mi sforzo ogni giorno di vivere nel modo che mi faccia sentire più tranquilla con me stessa e con gli altri.
È un lavoro quotidiano, non mi viene naturale; ci sono tante cose di me stessa che odio profondamente.
Come quando riesco a essere la mia peggior nemica o mi sento una piccola fiammiferaia che si nasconde in un angolo ad accendersi l’unico fiammifero asciutto della giornata.
Ma è uno sforzo di cui vado orgogliosa.
Mi mancano tantissime cose, e mi va bene così.
Che poi dipende dai punti di vista.
Agli occhi del mondo in cui vivo, sicuramente sono una a cui mancano un sacco di cose.
Non ho una macchina.
Non ho acceso un mutuo.
Non credo di rimanere a vivere per sempre nella città in cui mi trovo ora.
Non ho figli e ora nemmeno so se li avrò mai.
Non mi tingo i capelli per nascondere quelli bianchi.
Vivo con una persona che non fa un lavoro ben remunerato.
Viviamo nell’incertezza del domani, cercando di prendere le cose senza programmare troppo.
Ho scatole con pezzi di appartamenti precedenti in 3 città diverse.
Non ho nemmeno un armadio in cui mettere i miei vestiti invernali.
Ma quante, quante di più sono le cose che mi fa felice avere…
Eppure.
Eppure per qualcuno io sono una donna manchevole.
Una che non cerca di attingere alla lista di cui sopra, che non aspira ad avere più cose, nè a essere qualcosa di diverso da quello che sono.
Pare che io sia una donna senza status.
Non sono madre, non posso vantarmi di questo status.
Non ho un ufficio in cui recarmi ogni giorno, quindi probabilmente il mio lavoro non è tanto serio.
Viaggio da sola, pur avendo un uomo che mi potrebbe accompagnare.
Mi rallegro per cose che agli occhi degli altri sono evidentemente scontate e non meritano nemmeno un riconoscimento.
A volte avrei la tentazione di scrivere su questo blog molto di più sulla mia vita personale: vorrei scrivere di certi incontri, di certe esperienze al limite del ridicolo, delle elucubrazioni che ne conseguono, dei dispiaceri, del peso che certe parole hanno sulle mie giornate.
Ma ho deciso di mantenere una linea più schiva, di non espormi troppo.
Se lo facessi, dando più dettagli, forse questo post avrebbe molto più senso per chi legge.
Ma diciamo che stasera va bene così, che non avevo altro modo di dire questo se non mettendomi alla tastiera e buttando giù quello che a voce non riesco a dire.
❣
Per altri flussi di coscienza sullo stesso tema:
Di quando il ginecologo mi ha ricordato che sono una giovane trentenne
Mi aggiungo alla lista delle donne senza status perche’ spunto quasi tutte le opzioni che hai elencato tu. A cui aggiungo che io sono anche single, per scelta non mia, e credo che lo saro’ per un bel po’ di tempo, se non ad oltranza, perche’ la botta che mi e’ arrivata mi ha fatto mettere in discussione molte cose. Io ho imparato a sminuire le persone che vogliono farmi sentire inferiore solo perche’ non spendo il mio stipendio in set coordinati per la cucina o che cambiano i mobili della camera ogni due anni. Se e’ quello che vogliono ben per loro, bench’ non condivido, ma non venissero a criticare come conduco la mia di vita. A volte ho l’impressione che queste persone si siano create una gabbia da cui non sanno come uscire e, l’unico modo per mantenere la sanita’ mentale, e’ autoconvincersi che sia veramente quello che desiderano, criticando gli altri per le loro scelte di vita “non convenzionali”.
Si il lavoro di sminuire questi giudizi per evitare che facciano male è piuttosto duro…ma va fatto. Anche nel mio caso personale, credo succeda come dici tu, le persone che mi parlano cosí vivono nella loro scatolina e tutto ciò che trasborda è visto come pericolo o pazzia. Respirone: cosa ci possiamo fare? Niente, a quanto pare 🙂
Leggevo questo post e pensavo che avrei potuto scriverlo io… e certe volte mi sento come te. Ma certe altre, chissenefrega un po’ dello status, no? Tanto la gente avrebbe da ridire comunque, e noi siamo tipe toste che sanno sempre come rispondere per le rime 🙂
Il punto è che magari la viviamo benissimo questa vita senza status (io per lo meno sí, con i miei tempi e i miei obiettivi). Mi scoccia solo doverlo ricordare sempre a chi pensa che io manchi di qualcosa di fondamentale. Ecco, sono stanca di sentirmi etichettare e vorrei non dover sprecare parole per spiegare che mi vado bene cosí. La fase 2 sará imparare a non sprecare nemmeno più le parole della spiegazione 😉
Siamo nate un po’ tutte in una famiglia e in una società, quella italiana, che magari non vedono più la donna solo come regina della casa, ma, in fondo in fondo, vedono come traguardo “normale” quello di laurearsi/trovare lavoro/sposarsi/diventare mamme. Poi ben vengano la carriera, i viaggi, l’autorealizzazione. Ma tutte le famiglie sperano che alla fine ci si “sistemi”.
Ho capito solo negli ultimi anni che sono una persona non convenzionale su tante cose, fino a che non ho finito le scuole e allontanato alcune persone non volevo ammetterlo. Volevo e pensavo di essere come tutte. La vita laurea/mutuo/contratto fisso/figli non la sento mia, non adatta a me. Ma ho suoceri e genitori che sperano in quelle cose per me. Quando parto da sola, quando dico che i miei futuri bimbi li porterò subito in viaggio, che vorrei vivere in un camper, fanno una risatina e distolgono lo sguardo perplessi. Mia mamma forse mi sostiene un po’ di più. Ma su alcune cose nemmeno lei riesce – quando sono stata anni senza un compagno non era tranquilla.
Non mi sono mai messa a spiegare il perché sono senza status però, lo dimostro e basta spero che in futuro si mettano il cuore in pace e mi apprezzino lo stesso. A volte ho proprio quella sensazione, di non essere degna di apprezzamento né considerata seria. Tu ce l’hai mai avuta?
Si Ele, che ce l’ho avuta quella sensazione, tante volte. Credo sia normale quando certi giudizi ci vengono dalle persone più vicine. Una parte di noi vorrebbe secondo me sempre avere l’apprezzamento della famiglia, degli amici a cui si tiene di più…e allo stesso tempo, c’è quella parte che grida “ok ma a me non sta bene!”. Il gioco difficile per me è mantenere l’equilibrio fra queste due cose, umanizzare chi mi sta intorno e pensare che non avere sempre il loro apprezzamento non significa che non mi vogliano bene 🙂
Sei donna. Punto e a capo. 🙂
Ci ragiono anche io per sottrazioni, per le cose che non ho ma non farei a cambio.
Un abbraccio!
Grazie, un abbraccio a te, Sere! 🙂