Quando ancora ero sposata e sognavo di cambiare lavoro (per l’ennesima volta), l’anulare della mano sinistra mi pesava moltissimo: tanto che finii per iniziare a nascondere la fede durante i colloqui di lavoro.
Entravo nella sala del direttore risorse umane o della selezionatrice di turno nella mia – credevo – forma migliore, avevo studiato, sapevo chi avevo davanti, potevo fare domande pertinenti sul ruolo e sull’azienda, sapevo articolare un discorso convincente sui miei punti forti e quelli di miglioramento, fingevo di sapere come mi vedevo fra 5 – 10 – all’infinito anni, mostravo sicurezza e parlantina…
Ma c’era una cosa che non potevo evitare: lo sguardo su quell’anulare.
Il selezionatore simulava indifferenza, aggirava l’ostacolo per evitare di andare subito al punto, ma già le sue domande sul “come si vede in futuro” subodoravano diffidenza.
Mentre snocciolavo progetti di carriera e di vita che suonassero il più manageriali e umani possibili, il selezionatore di fronte a me ascoltava solamente la sua versione dei fatti: sono sposata, mi faccio assumere e farò un figlio presto, mettendomi in aspettativa per almeno un anno – Muhauhauhaha!
(sì, anche la risata malefica fa parte del pacchetto)
Alti momenti di tensione, un gioco in stile dilemma del prigioniero in cui non è chiaro se vincerà chi confessa o chi starà zitto.
Alla fine decisi che la cosa migliore era nascondere la fede quando andavo a fare un colloquio
E fu senza anello al dito che un giorno mi trovai di fronte a un’elegante selezionatrice di esperienza, una di quelle austere donne milanesi con il capello biondo sbarazzino e gli occhi di ghiaccio alla Claire Underwood.
La signora non ebbe mezzi termini, sembrava vedere il solco lasciato dall’anello nascosto a casa e mi mise alle strette.
Il colloquio andò letteralmente così (in corsivo i miei pensieri in presa diretta):
- Vive da sola?
- No, con il mio compagno [scema scema, risposta sbagliata!]
- E il suo compagno lavora?
- Ehm…si
- Lui ha un lavoro a tempo indeterminato?
- È un libero professionista [vuoi sapere pure quanto guadagna?]
- State insieme da tanto? La definirebbe una relazione stabile?
- Ehm…si… [dove vuole andare a parare questa?]
- E quali sono i vostri progetti per il futuro?
- Mah…entrambi siamo molto concentrati sulla carriera… [si nota che sto mentendo? si nota? eh?]
- Quindi non si vede madre? Non ha mai pensato di avere dei figli un giorno?
– Ci ho pensato, ma purtroppo non posso, sono sterile.
Quest’ultima frase è la risposta che avrei dovuto darle. Per farla stare zitta.
E smettere di interrogarmi come se il mio essere trentenne in cerca di lavoro mi identificasse immediatamente come una mina vagante, un’approfittatrice in cerca di un’azienda da cui farsi pagare la maternità.
E invece non le risposi così, le infilai qualche altra mezza risposta cercando di cambiare discorso e riportarci sul ben più professionale tema della proposta di lavoro per cui ero arrivata fin lì.
Ma questo colloquio di lavoro non me lo dimentico, e con lui la sgradevole sensazione di essere interrogata su argomenti tanto personali da una sconosciuta che teoricamente doveva presentarmi un’offerta lavorativa.
Se avesse saputo poi, come la mia relazione stabile sarebbe andata a finire…va beh, forse mi avrebbe pure presa.
—❣—
Vi è mai successo qualcosa di simile a un colloquio di lavoro, in Italia o all’estero? E qual è stato il vostro modo di risolvere il dilemma del prigioniero?
Io, in questo mondo maschilista sto dall’altra parte, e non ho mai ricevuto questo tipo di domande, ma ne sento spesso di queste brutture. Purtroppo in questo nostro Paese le cose non vanno proprio in piena contraddizione con la richiesta costante di fare sempre più figli (visto che demograficamente stiamo messi maliuccio). E pensare che in paesi del centro nord europa ci sono gli asili aziendali e i pacchi omaggio (con i beni per la prima infanzia)!! che tristezza, veramente che tristezza!
I pacchi omaggio anche qui in Spagna, dove lavoro…ma forse perché é un clinica di riproduzione assistita, se fossero contro la maternità ci sarebbe da ridere.
Ho sempre sostenuto, sul mio blog, di come in Italia (non ho evidenze di ciò che capita in Europa, se non per racconti indiretti) la donna che voglia fare carriera e contemporaneamente essere madre sia discriminata. Avendo un welfare inesistente, questo è il risultato.
è fuori discussione che in sede di colloquio la prima cosa che si chieda ad una donna sia se ha intenzione di figliare: viene vista solo come un costo, non come una professionalità che possa dare valore aggiunto all’azienda. E così non è solo la candidata a perdere l’opportunità, ma molto spesso anche l’azienda perde figure valide.
Occorre ripensare il modo di sostenere la maternità, anche perchè è sempre più necessario che gli stipendi a casa siano due. Questo aiuterebbe molto anche la crescita della natalità nel nostro Paese, che ormai è sotto lo zero.
Perfettamente d’accordo.
A me non è mai successo né prima né dopo essermi presentata con la fede.
Sei stata fortunata allora, ti sei risparmiata un bel nervoso 🙂
A me è successo in Italia…..qui no perché non ho avuto nemmeno la possibilità di farlo un colloquio vista la totale assenza di lavoro (ma va bene così..ora lavoro con mio marito e quando arriverà il bimbo me lo godrò)….
Però la cosa mi fa incxxxxx e pure parecchio…..e la cosa peggiore è quando a discriminarti sono le stesse donne che dovrebbero invece avere più empatia….
Mia cognata deve aprire un negozio e ha chiaramente specificato che non vuole commesse sposate…l’ho odiata per questo…..
E’ anche vero che siamo a questo punto anche (ma non solo) per colpa di quante donne (e ci sono purtroppo) che ne approfittano davvero e ne hanno approfittato…ne conosco una che si è fatta fare il certificato di gravidanza a rischio (che non era necessario) e infatti era tutti i giorni al mare…vista con i miei occhi!
Vero che ci sono molte donne che ne approfittano, di fatto è una delle prima domande che mi fanno molte pazienti italiane appena rimangono incinta “mi può fare un certificato di gravidanza a rischio?”. Ovviamente no.
Appunto! Che poi per carità se è necessario, se fai un “lavoro a rischio” va benissimo ma se stai seduta dietro una scrivania o una cassa al super (la tipa di cui ti parlavor) perché farlo???
Eh…
Molto molto molto triste. Ci sono Paesi civili in cui avere figli viene considerato sinonimo di fantasia, capacità di inventiva (chiunque abbia un figlio sa di quanta fantasia ci sia bisogno per sopravvivere! ) e senso di responsabilità. Ma noi Paese civile lo fummo e lo saremo…ma non lo so se lo siamo ancora…
Mi piace la tua interpretazione, inventiva e fantasia, è quello di cui abbiamo bisogno…se ci fosse sempre permesso!
onestamente qui nessuno fa caso alla fede perché a occhio la maggior parte della gente si sposa dopo averli fatti, i figli. Io poi son sposata e non la porto eppure ci vuole un attimo per loro a scoprirlo, basta una connessione internet. Poi c’è il fatto che gli uomini sono obbligati a prendere almeno 3 mesi di congedo parentale, il che fa sì che assumere un uomo rispetto ad una donna non sia il beneficio automatico che è altrove. Ciò detto, anche qui la fatidica domanda è sempre dietro l’angolo e a me è stato consigliato di rispondere con un’altra domanda: “in che modo i miei progetti di figli futuri sono rilevanti per questo impiego?” (Ma anche io ho sempre pensato che nel caso avrei detto di non poterne avere, per farceli pure rimanere di merda. Non che mi capiterà tanto presto visto che hanno a quanto pare altre mille ragioni per non chiamarmi manco a colloquio)
Interessante l’obbligo per gli uomini, questo sì che elimina l’aspetto discriminatorio. Se ho capito bene, scrivi dal NordEuropa, corretto?
Sì, dalla Svezia. L’obbligo secondo me è l’unico modo. Lo dico perché ho lavorato prima in un ente pubblico di un altro paese dove, senza obbligo, a qualunque padre lo volesse venivano dati anche congedi parentali molto lunghi, senza problemi. Solo che tutti quelli che lo chiedevano venivano poi trattati malissimo dai colleghi e se ne diceva peste e corna, dietro le spalle. Senza l’obbligo non si va da nessuna parte.
Chiaro, dove non c’è obbligo rimane latente il senso del “se ne sta approfittando”…
Svezia, se non mi sbaglio!
Ecco, 3 mesi di paternità obbligatoria…miraggio dei Paesi nordici? Si, la risposta del “non posso averne” è semplicemente una questione di togliersi un’enorme soddisfazione. Esempi di altre ragioni per non chiamarti a un colloquio? Sono curiosa 😛
Se vuoi un giorno ti racconto il mobbing che ho sibito nelle gravidanze, e da una capa donna ovviamente. Che merda di persone.
Ciao Spersa, io sto proprio pensando di fare un post a riguardo. Ho raccolto già un paio di post che parlano di questo aspetto e magari possiamo mettere la tua testimonianza, ovviamente senza fare nomi o riferimenti specifici… che ne dici? Ovviamente uno dei post è questo di Giulia e magari possiamo fare un’uscita comune!
A me l’idea piace!
Una delle cose più imbarazzanti è che siano le donne stesse a metterti in queste situazioni. Lo faranno credendoci sul serio o solamente per mantenere il “phisique du rôle”?
Ci credono eccome. In parte credo sia invidia, perché se sono ai vertici spesso son più vecchie, in parte è che proprio mediamente le donne al potere sono stronze e basta.
Purtroppo è una teoria che finora non sono riuscita a smentire, le donne al potere stronzeggiano.
[…] 30 e qualcosa, “Nascondere la fede ai colloqui di lavoro e altre amenità”: Quando ancora ero sposata e sognavo di cambiare lavoro (per l’ennesima volta), l’anulare della mano sinistra mi pesava moltissimo. Entravo nella sala del direttore risorse umane o della selezionatrice di turno nella mia – credevo – forma migliore, avevo studiato, sapevo chi avevo davanti, potevo fare domande pertinenti sul ruolo e sull’azienda, sapevo articolare un discorso convincente sui miei punti forti e quelli di miglioramento, fingevo di sapere come mi vedevo fra 5 – 10 – all’infinito anni, mostravo sicurezza e parlantina… Ma c’era una cosa che non potevo evitare: lo sguardo su quell’anulare. […]
A me la domanda è stata posta direttamente, da una donna: “vorrai mica fare dei figli?” “certo che sì”. Mi hanno assunta lo stesso. 4 anni dopo mi sono sposata e al rientro dal viaggio di nozza mi sono licenziata (senza forzature). Era donna, dichiaratamente di sinistra.
Pure.
Pure.
Però bene che ti sia presa tu la soddisfazione di andar via senza pressioni.
A me è capitato in un colloquio in Spagna che una delle prime domande è stata se volevo fare i figli. Ho risposto sinceramente ma potevo anche non farlo. Io non voglio diventare mamma, non ho mai voluto e non farò figli (comunque il mio compagno ne ha uno del matrimonio precedente, quindi un po’ capisco le questione delle mamme grazie al figliastro).
Ma, sopratutto, non mi sembra giusto dover rispondere a tale domanda, è denigrante che si facciano queste domande in colloqui, sia alle donne sia agli uomini.
Già in Spagna ho visto tanto maschilismo nel mio lavoro ma devo dire che, da quando sono venuta in Italia due anni fa, vedo qui anche più maschilismo! Dopo un certo tempo di osservazione direi che, anche se qui gli uomini sono più maschilisti nel mio lavoro di quanto lo erano in Spagna, le donne italiane sono tanto colpevole di questo! Non ho visto in Spagna donne come queste. Forse si, ho visto qualcuna, ma non sono la maggior parte come qui.
Se vogliamo essere considerati uguali, non solo agli uomini, mi riferisco anche le donne che fanno figli vogliono avere le stese opportunità che quelle che non gli fanno. Allora dobbiamo lavorare lo stesso, vero? Non posso capire come si riesce a fare un bel lavoro per 3-4 anni e poi diventare mamma e dimenticarsi di tutta la professionalità… A quel punto capisco bene ai maschilisti ed è troppo ingiusto per le donne che non vogliamo fare i figli ma ci trattano come a quelle che gli hanno fatto e si sono rilassate troppo.
E non parlo di andare a casa nell’orario giusto, questo lo faccio pure io. Se siamo professionisti ed riusciamo a fare il nostro lavoro bene, non devono dire nulla se andiamo a casa alle 18. Ma parlo di quelle che tutti i giorni arrivano in ritardo, che se ne fregano di tutto e non fanno più professionalmente il suo lavoro. Passano il giorno parlando del bambino, chiamando al’asilo, prendendo caffè e parlando del bambino, il bambino si ammala 3 giorni alla settimana, etc… Poi il resto dobbiamo fare il nostro lavoro più il loro, e guadagniamo lo stesso…
Mi dispiace, ma se vogliamo finire con il maschilismo dovremmo fare meglio, essere vere professionisti con o senza figli. Purtroppo le brave donne dobbiamo sforzarci il doppio per ottenere la metà, dobbiamo ringraziare per questo ai colleghi (uomini o donne, anche di queste ci sono) maschilisti ed soprattutto a donne come queste che vi racconto, quelle che ci fanno diventare tutto più difficile per il suo modo di fare le cose e il menefreghismo che hanno sviluppato dopo la maternità… Se vogliamo avere gli stessi diritti, lo stesso stipendio, le stesse opportunità, dobbiamo mantenere lo stesso grado di professionalità.
Io ho voluto sempre essere sponsor per donne, aiutare a quante riesca a farlo, ho chiesto di assumere donne nel mio team, etc. Ma negli ultimi anni ho capito anche a chi non vuole assumere donne. In Spagna è diverso forse dovuto al fatto che è facilissimo licenziare ai dipendenti e noi l’abbiamo presente sempre. Ma, se ho capito bene, qui in Italia è più difficile licenziare qualcuno in grande aziende…
Ciao maripilix, grazie per il tuo commento! Purtroppo quello che osservi nel tuo lavoro in Italia succede anche nel mio posto di lavoro, a Barcellona. Siamo un gruppo di una trentina i donne, tutte fra i 28 e i 45 anni, direi che una metà sono madri (o lo stanno per diventare) e l’altra metà no (o non ancora). La differenza si nota, io dico spesso anche in positivo: in un lavoro stressante come quello che facciamo in Clinica, essere madre ti mette al riparo da molte ansie e ti da un orientamento diverso sul lavoro. Però molte volte è anche vero che le madri che possono approfittarsene con una buona scusa e sono quelle che ottengono più privilegi: lavorare nel turno della mattina, dove la pressione è minore, avere spesso orario part time, poter prendere permessi malattia quando il bimbo sta male…tutte cose giustissime e che fanno parte del welfare dell’impresa, ma è vero che chi il figlio non ce l’ha si deve un po’ “attaccare”, come si suol dire, e lavorare il doppio. E purtroppo è vero che dopo la maternità la produttività di molte donne sul lavoro si abbassa. Nel caso del mio lavoro, ci sarebbe da questionare anche la produttività di chi non è madre…ma questo è un altro discorso.
Tanti anni fa, era il 1999, ho fatto il selezionatore. Ero il muro da oltrepassare prima di andare dal personale, ma se oltrepassavi il mio muro, il personale era una quisquilia.
La situazione era la seguente: un centro in una città del sud aperto sulla base di finanziamenti europei e regionali, con il proprio punto di forza nell’assunzione diretta di 200 neolaureati, con somministrazione di 1800 ore di corso (un anno e qualcosa). Ovviamente questi 200 non potevano da soli fare qualunque cosa, dopo il corso. Per cui servivano una quarantina (uno ogni 5) di “senior” con funzione di coordinamento. Ovviamente non erano noti, allora, i dettagli organizzativi, per cui si cercavano dei profili standard. Io francamente il tema dell’anello non me lo sono mai posto. Ho sempre chiesto cosa si pensava in un futuro, ma senza alcuna valenza “accusatoria”. Le donne che ho assunto hanno tutte fatto una decente carriera, e tutte hanno avuto figli. Penso siano cambiati i tempi, da quello che scrivi. E questo è molto triste.
Io credo che sia come dici, sono cambiati i tempi, sono cambiate le donne. Ci siamo mediamente abituate a un mondo del lavoro che ci vuole intraprendenti, agguerrite e pronte a tutto per fare carriera. E di conseguenza anche i selezionatori lavorano in quest’ottica.
Credo che però così si perda tutti. Un colloquio dura mezz’ora. In mezz’ora devi farti un’idea della persona partendo dal CV e studiando come reagisce a certi stimoli. Ovviamente si è pronti ad affrontare la “menzogna”, o meglio all’aggiustamento della realtà, ma alla fine quel che conta è: sto prendendo la persona giusta per il lavoro che deve fare? E questo a me pare un invariante rispetto a tutto. Mettere l’accento su determinati aspetti non aiuta a risolvere il quesito. Anche perché di colloquio in colloquio si cresce e si impara a dire quel che gli altri si aspettano si dica. Uno dei miei punti di forza era mettere in difficoltà il candidato con domande scomode per vedere come reagiva alle avversità: “Come mai ci ha messo così tanto a laurearsi?”. Non era cattiveria gratuita, era un test.
Debbo dirti che delle 40 persone che ho assunto, quasi tutti sono rimasti in azienda e hanno fatto una buona carriera.
E allora eri un buon selezionatore 🙂 Sono d’accordo sul fatto che con tecniche tipo quelle che ho visto ai miei colloqui, si impara a essere bravi e ad affinare le risposte per dire quello che il selezionatore vuole ascoltare.
Eccomi! non potevo mancare nemmeno io… ovviamente! Stessa situazione come la tua, sposata da qualche mese, cercavo un miglioramento professionale, così facevo colloqui a destra e a manca e fiera e felice non mi vergognavo di mostrare quell’anello luccicante. Avevo 26 anni, che diamine, era presto per fare figli! … sono stata selezionata da un azienda dove il titolare mi fece “giurare” che mi sarei impegnata a non rimanere incinta per almeno 2 anni… certo che ho giurato. Credo che in quel momento, oltre a firmare un nuovo contratto di lavoro, ho firmato la fine del mio matrimonio (giusto 2 anni dopo…), oltre alla mia inspiegabile sterilità mentale…
In due giorni ho chiuso con mio marito e torno da mia madre. Il giorno dopo in ufficio mi dicono di aver inviato una raccomandata di licenziamento per mancanza di lavoro… ottimo no?
Però, qualche mese dopo, rispondere alla domanda che vedeva la mia situazione sentimentale attuale e la possibilità di fare figli. con sono separata da qualche mese, ha visto la mia posizione fare un ascesa su tutte le altre candidature ed ho avuto molte gratificazioni… ora, dopo 6 anni, spero che arrivi quella più grande…
Abbiamo una storia molto simile, anche nelle tempistiche. La carta separazione non ho avuto modo di usarla in Italia, non avevo pensato che effettivamente possa (ridicolmente) giocare a favore, e qui nessuno mi ha mai fatto domande personali. Incrociamo le dite per la soddisfazione più grande!
A me non è mai capitato che chiedessero se volessi fare figli.
E tutte le volte che il colloquio è diventato personale ho sempre fatto facce strane. In teoria come sono sul lavoro non c’entra niente con quello che sono a casa e non permetto alla mia vita personale privata di interferire con quella lavorativa che, per il tipo di lavoro che faccio, è più “pubblica”.
La mia super-capa non ha ancora capito se sono sposata o no e ogni volta che dice “tuo marito” io faccio finta di niente.
La domanda più precisa mi è stata rivolta ad un colloquio interno, di valutazione obbiettivi ed stata: “dove ti vedi tra cinque anni?”, alla quale ho risposto “spero di essere morta!”. Il tizio è scoppiato a ridere e mi ha detto che l’azienda adorava il mio senso dell’umorismo…
Credo che in pochissimi lavori la vita personale influisca sul serio sulla vita lavorativa, quindi la giustificazione del selezionatore che vuole sapere con chi vai a letto e se ci farai dei figli, non la vedo mai giustificata. Fortunata che hai dei capi che non ti hanno mai fatto domande dirette sulla tua vita personale, ne prima ne dopo aver ottenuto il lavoro. Forse il punto sta anche nel fare le facce strane che fanno sentire in difetto chi ti fa le domande, e far leva sul senso dell’umorismo 🙂
Odio la domanda dei cinque-dieci-(nel mio caso erano tre) anni. Tirerò fuori la tua risposta la prossima volta che dovrò sostenere un colloquio, è spiazzante.
Quello che più mi spiace è che immagino te, e le persone nelle tue condizioni, tese e nervose sulla sedia, a pensare non più ai contenuti del lavoro, ma alla propria vita privata. Sei una professionista, e di colpo la tua professionalità non conta più nulla, e soprattutto non pensi ad altro che a giustificarti o modificare la realtà. Non ha senso. È limitante, è triste. È ingiusto.
Non voglio commentare troppo sul fatto che, in un paese moderno, la domanda non si pone neppure perché…fare figli non è visto come un problema! Si fanno e poi si torna al lavoro. Hem, forse dovrei specificare che vivo in un paese dove ci si sposa prima dei 25 anni e si fanno figli quando ci si sente pronti, carriera e situazione economica di entrambi permettendo.
È assolutamente triste, effettivamente non è più un colloquio di lavoro ma un test perso-attitudinale in cui devi dimostrare di essere la persona che vuole il selezionatore…
Sì, mi è capitato una volta… in Svizzera. Mi hanno chiesto con chi vivessi e altre cose che ora non ricordo. Forse se avevo una relazione stabile, al che gli dissi che avevo un fidanzato ma che lui non mi avrebbe seguito a Zurigo. A ripensarci, forse non era la risposta giusta… Però lì per lì non sapevo come prenderla: questa risposta avrebbe fatto capire che avrei messo la carriera al primo posto andandomene, anche a sacrificio della mia relazione oppure mi avrebbe etichettato come soggetto a rischio di licenziamento rapido per nostalgia dall’amato? La domanda fu fatta da una donna sui 45 anni, era lei la hiring manager. In verità avrei voluto rispondere “Ma è legale fare questa domanda?” perché in USA non lo è… Però non sapevo cosa dicesse la legislazione svizzera in merito e me ne sono stata zitta. Ho smesso di fare quella vita e di frequentare uffici. Trovo vergognoso fare queste domande, bisognerebbe alzarsi e andarsene.
Al tempo in cui mi fecero questa domanda era ancora troppo forte la voglia di affermarmi e vincere ai colloqui di lavoro. Ora la vittoria sarebbe proprio alzarmi e andare via, come dici tu. Il Paese centra poco, nemmeno in Italia è legale fare queste domande, eppure…È più una questione di nuova (e triste forma mentis).
Appena scoperto il tuo blog e in particolare questo articolo, e non posso non sorridere amaramente pensando a quante e quante volte è successo anche a me. E leggere altre storie ammetto che mi fa sentire meno sola. Tempo fa scrissi anche io un articolo sulle mie esperienze ai colloqui. Se hai voglia di leggerlo lo trovi qui:
https://bastasolounascintilla.wordpress.com/2015/01/07/maternita-e-lavoro/
Ciao Chiara, grazie per il tuo commento! 🙂 ho appena visto e commentato il tuo articolo, e si, vedo che qualche esperienza in comune ce l’abbiamo! 🙂
[…] vero, con ferie e malattia pagate. In attesa di fare un colloquio di lavoro in cui non mi cerchino la fede al dito. In attesa di poter pagare un affitto senza essere risucchiata nel vortice del fine mese. In attesa […]
[…] volta mi sono sentita violata nel mio sacrosanto diritto di farmi i cavoli miei. Come durante quei colloqui di lavoro a Milano in cui avevo dovuto rispondere a domande sulla mia vita di coppia, sul lavoro del mio compagno ed […]