There is a great power in not giving a f*ck

l'arte di fregarsene

C’è un gran potere dietro l’arte di fregarsene.
[che traduzione elegante, eh]

Stavo guardando il secondo episodio di Glow quando uno dei protagonisti, il regista Sam, ha pronunciato questa frase.
Semplice, volgarotta, illuminante.

Praticamente la versione maleducata del fregatene!, che tante volte mi sono sentita ripetere quando confidavo a madre o amiche certe pene adolescenziali. O le prime ingiustizie sul lavoro. O i litigi con altre persone.

Non sono mai stata brava a fregarmene, al contrario.
Sono una di quelle che se la prende per tutto. Che si lega i torti al dito. Che difficilmente dimentica. Che si arrovella sulla psiche altrui per capire come siano arrivati a poter pronunciare certe frasi, fare determinate scelte, farmi un torto.
Non sono mai stata una persona che prende le cose con leggerezza. Nah.
Eppure più o meno inspiegabilmente ho iniziato, lentamente, a don’t give a f*ck.
Credo che l’evoluzione abbia avuto inizio quando ho cominciato a lavorare nel supporto al cliente.

Se lavori a diretto contatto la gente, il don’t give a f*ck è la protezione

Avere a che fare con le persone e i loro problemi tutti i santi giorni, fa automaticamente scattare un meccanismo di auto-difesa.
È necessario creare delle distanze per non farsi rigurgitare dai malmosti altrui.
Fungere da punch-ball, perché in realtà è quello che siamo, quando lavoriamo nel supporto al cliente.

Loro hanno un problema, noi abbiamo (teoricamente) le soluzioni.
E se non abbiamo la soluzione, almeno offriamo un orecchio empatico con cui ascoltare ciò che hanno da dire.

Quando lavoravo in Clinica, mi sono buttata a capofitto in questa missione.
Ascoltare, offrire appoggio, proporre soluzioni o semplicemente parole di conforto.

Il risultato?
Che con molte pazienti riuscivo a stabilire una bella comunicazione continuativa nel tempo.
Ma ce n’erano altrettante che mi rendevano la vita difficile.
Capaci di chiamare 10 volte in un giorno solo per ripetere più o meno la stessa domanda. E io lì, a dare sempre la stessa risposta cercando di cambiare le parole, per non morire di noia.
Capaci di insultare e sfogare su di me la rabbia che probabilmente non potevano esternare nella loro vita quotidiana, con le persone che le facevano veramente arrabbiare. E io lì, a incassare e immagazzinare all’inizio; per poi passare alla condivisione in contemporanea con le mie colleghe.
Dopo le prime volte in cui tornavo a casa con il magone e la sensazione di essere stata trattata ingiustamente, ho così iniziato a muovere i primi passi verso il don’t give a f*ck

Sono ancora in cammino, ma i risultati sono decisamente incoraggianti.

Ora che in Clinica non ci lavoro più, non è che le cose siano cambiate poi tanto.
La gente è sempre la gente, sia che ti chiami perché sta facendo una cura ormonale, sia perché ha un sito web che ogni tanto scoppia.

Dedicato ai messaggi maleducati che ho lasciato senza risposta

Ancora adesso, quindi, ogni tanto sul lavoro ricevo dei messaggi maleducati.
No, non mi riferisco solo ai messaggi sessisti di cui avevo parlato qui. Quelli li riesco a gestire con l’assodata arte dell’apparente noncuranza femminile, che è un po’ quello che ci insegnano fin da piccole, no? Poi li faccio anche eliminare dalla nostra lista clienti, piccole silenziose vittorie.
Ogni tanto ricevo piuttosto messaggi maleducati, da parte di persone a cui non piace la soluzione che propongo loro.
E visto che non gli piace, si sentono in libertà di parlarmi male, polemizzare all’infinito, inserire qualche insulto random.
All’inizio entravo in polemica con loro. Cercavo di far valere le mie ragioni, quando sapevo di avere dei buoni punti.
Oppure inserivo una linea per rimarcare quanto la loro maleducazione non fosse un beneficio per l’andamento della conversazione.
Una volta ho detto a un cliente francese che ero pronta ad aiutarlo a risolvere il suo problema e che lo avrei fatto in un tono molto più educato di quello che lui stava usando lui con me.
Mai l’avessi fatto. Lì ho scoperto che tirare fuori la parola educazione con un francese è un’offesa mortale.
Questo cliente voleva denunciarmi, praticamente, per essermi permessa di opinare sul tono maleducato e farcito di insulti che stava usando nei suoi precedenti messaggi.

Ma la stanchezza che deriva da certi dibattiti è proporzionale alla soddisfazione che ne ricavo dal vincerli.
Per questo ultimamente ho iniziato a chiudere direttamente le conversazioni, oppure saltare a piè pari qualsiasi riferimento maleducato dei clienti.
Ho iniziato a fregarmene sul serio, e c’è qualcosa di molto liberatorio in questo atto di presa di distanza da chi mi sta infastidendo.
Questa tecnica funziona anche fuori dall’ambito lavorativo, naturalmente.
Qualsiasi messaggio che lì per lì mi fa ribollire il sangue, semplicemente rimane lì dove è arrivato, senza risposta.
Mi riservo di riprenderlo qualche ora dopo, se è il caso.
Ma almeno ci avrò ragionato sopra con una buona dose di don’t give a f*ck (e Sam ha proprio ragione, ti fa sentire sufficientemente potente).

Tutti i miei I don’t give a f*ck

Ecco perché, I don’t give a f*ck…(o ci provo)

quando mi dicono “alla tua età già divorziata?
quando ricevo i messaggini paraculi
quando chi speravo potesse supportarmi, in realtà è troppo preso dalla sua vita per farlo
quando mi dicono “ma perché non ti fai accompagnare invece che andare da sola?
quando qualcuno cerca di farmi i conti in tasca
quando qualcuno cerca di tirarmi indietro verso il passato
quando ricevo proposte di collaborazione a prezzi ridicoli
quando mi dicono “ma perché non vai al mare?
quando un cliente mi chiede di fare cose che non mi competono
quando incontro persone a un evento che la volta dopo fanno finta di non conoscermi
quando qualcuno legge il mio blog ma non lo vuole ammettere e fa finta di nulla

Sono i primi che mi vengono in mente di fronte a questa tazza di caffè domenicale; vorrei aggiungerne anche altri sui quali però sto ancora lavorando…

Quali sono i vostri, invece?

—⭐︎—

Foto di copertina originale: Joanna Kosinska

—⭐︎—

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12 risposte a “There is a great power in not giving a f*ck”

  1. Quando un amico/a non si fa mai sentire “obbligandoti” a chiamare sempre per primo.
    Col tempo ho imparato a non prendermela più del dovuto.
    Chiamo se sento la necessità di farlo, in qualche modo anteponendo la soddisfazione di un bisogno personale rispetto al piacere del dialogo che, spero, sia comunque reciproco.

    1. Interessante 🙂
      Io sto facendo anche un po’ il contrario, evitare i sensi di colpa per quelle relazioni che si trascinano quasi obbligatoriamente. Ho iniziato a chiamare le persone che voglio sentire, senza preoccuparmi tanto per chi c’è solo nella circostanze più ovvie.

  2. Fregarsene, parola a me praticamente sconosciuta fino a qualche mese fa.
    Potrei dirne anche io di cose che mi sono state scritte e dette, più che altro insulti. Insulti ricevuti quasi tutti da persone più grandi di me che si sono permessi di farmi i conti in tasca e di definirmi peggio del peggio. Perché sono una blogger, perché sono una serie tv addicted, perché addirittura mi permetto di vivere la vita con leggerezza quando la gente soffre. Come mi permetto io di essere felice?
    E sono tutti giudizi e insulti che fanno male. Ho pianto. Tanto. Ma alla fine mi sono rialzata e mi sono detta: che diritto hanno loro di giudicare me e la vita che ho deciso per me? Non faccio del male a nessuno, io ho diritto a essere felice. E la vita sì che mi è cambiata davvero. Questi giudizi ancora continuano ad arrivare ma ora me ne frego. Ora non mi toccano più. O meglio, ancora ogni tanto mi feriscono ma come tutti i percorsi, bisogna camminare per raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati per se stessi, no? 🙂

    1. Esatto, non hanno nessun diritto su di te 🙂
      Sicuramente continueranno a pungolare e a dar fastidio, ma una volta che trovi la forza di fregartene è effettivamente tutta un’altra storia!

  3. Condivido in abbondanza quello che hai inserito nella lista… aggiungo:

    Quando, le persone che conosco (ma non definibili amici) mi guardano negli occhi e poi si girano senza salutare.
    Oppure le critiche maligne, quando mi dicono che dovrei trovarmi un nuovo lavoro, una nuova casa.
    Quando mi giudicano perché non voglio sposarmi o ancora non desidero avere bambini.
    O le infinite domande: perché non vai al mare? Perché non ti riposi di più? Perché non rinnovi il tuo guardaroba?
    Ma si, ogni tanto è bene lasciar scivolare via le cose, specialmente quando a pronunciare determinate parole sono persone delle quali m’importa davvero poco o che in alternativa, giudicano solo perché hanno un modo di concepire la vita diverso dal mio e in fin dei conti i loro giudizi, non sono dati con cattiveria.
    Un abbraccio!

    1. – Quando mi giudicano perché non voglio sposarmi o ancora non desidero avere bambini. – non hai idea di quante me ne sono sentite sputare addosso. Sei una fallita, sei una mezza donna, ecc. perché ho fatto la tua stessa scelta: non voglio una relazione e non voglio avere figli. Sto benissimo da sola, con le mie passioni e la mia vita. Ho bisogno dei miei spazi, di stare con me stessa. L’idea di avere una persona al mio fianco mi mette i brividi, mi sento soffocare. Che male c’è? Perché tutti si devono sentire in diritto di dare giudizi sulle scelte degli altri? Basta. Bisogna imparare a fare ciò che ci fa stare bene, non importa se agli altri sta bene, deve stare bene a noi.

      1. Ma su Silvia, sei anche tu del club delle “donne senza status” hahah
        (vedi post precedente) 😀
        Un abbraccio!

    2. hehe Claudia mi sono dimenticata anche io quella sul guardaroba…e sul perché non vado più spesso dal parrucchiere 😀
      Vero poi che bisogna distinguere chi lo fa con cattiverie e chi perché ha solo un modo diverso di vivere.
      La nostra risposta però non cambia 😉
      Un abbraccio!

  4. ahahah! molte delle domande della tua lista, soprattutto l’irritantissima “ma perché non vai al mare?” le ho fortunatamente lasciate in Italia. Se ne sono aggiunte di altre ovviamente: per anni in cima a quella lista c’è stata una domanda a piacere attorno a Berlusconi e gli italiani – penso tu possa immaginarti il filone. Inoltre qui in Svezia mi irrita molto un certo tipo di frase/commento/domanda che gira attorno a certe scelte di carattere economico – visto che qui pare obbligatorio indebitarsi per avere la villetta col giardino se si hanno figli, gli appartamenti sono per i ventenni o per chi evidentemente non si può permettere di meglio. Purtroppo non sempre riesco davvero a sbattermene.

    1. Arya, meno male che quel filone berlusconiano si è affievolito, almeno un lato positivo 😉
      Invece non avrei pensato al punto sulla casa in Svezia.
      Quando ci commentano le scelte economiche e sociali ammetto che è difficile mandar giù e non pensare “e se avessero ragione loro?”.
      Ma poi credo basti ricordare ai motivi per cui abbiamo deciso di comportarci/vivere in un certo modo, e un po’ l’equilibrio torna.

  5. Anche io sto imparando a fare così. Vero è che sono molto permaloso (anche se molto meno rispetto ad una volta), per cui a volte non riesco proprio a lasciar correre. Però mi rendo conto che alla fine l’unico a starci male sono io, per cui perchè?
    Meglio lasciar perdere, fregarsene e continuare a vivere con il sorriso. alla faccia di chi si diverte a provocarci.

    1. Ti stringo la mano, compagno di permalosità! Anche per me è stato uno sforzo enorme, e come te ho iniziato a farlo per guadagnarne in salute! 😀

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