Io voglio tutto. Voglio tutto e niente.
Voglio lavorare bene ma finirla con l’epoca dei neon sopra la testa. Possiamo togliere i neon dagli uffici? Possiamo dare luce naturale agli spazi? Capire se fuori piove o c’è il sole, capire se è giorno o notte? Possiamo smettere di gridare? Perché gridiamo?
È scientificamente provato che più di due donne che parlano al telefono nello stesso ufficio taglia 4 fanno un casino insopportabile, immaginiamo due che parlano al telefono mentre le altre cazzeggiano chiacchierando fra loro o con quelle che si affacciano giusto a salutare, così, per gentilezza. Una donna dentro quella stanza dovrà soccombere, o fare qualche errore fatale mentre parla al telefono con la paziente.
E la paziente con la quale stai parlando (ah si perché una di quelle al telefono sono io, non nascondiamolo) è naturalmente quella che poco prima ti ha detto “sono nelle tue mani”, come se io fossi un cazzo di chirurgo stile Grey’s Anatomy, quando ovviamente non lo sono e stiamo semplicemente parlando del suo endometrio, e diograzie io non sono dentro il suo utero quindi non ho la più pallida idea di come la sua mucosa endometriale supererà il fine settimana.
E mentre parliamo di questo e le colleghe parlano e la paziente mi parla e mi chiede informazioni pure sulla sua donatrice e il colore degli occhi e il colore dei capelli e il gruppo sanguigno e quanti peli ha dentro il naso, io programmo il suo giorno X – scrivo mail al laboratorio, prenoto ovociti, scrivo tutto per benino e poi a lei, alla paziente, alla fine della conversazione, dico il giorno sbagliato.
Così, le dico di prenotarsi un bell’aereo per martedì, anziché lunedì.
Perché questa settimana mi è pesata talmente tanto che manco mi sembra venerdì e ho tutto il fuso spostato in avanti.
Eppure, pur essendo quasi le 17, mi rimane un briciolo di lucidità e prima di spegnere il pc e fare ciaociao a tutti gli ovociti del mondo mi rendo conto dell’errore fatale.
E mi tocca richiamare la fiduciosa paziente con la coda tra le gambe, e spinta dalla tachicardia inizio pure il discorso con un confortante “signora non mi uccida” pronta a confessarle che stavo per mandare all’aria il giorno del suo concepimento e sperando dentro di me che non abbia già prenotato il suo volo. Niente, sono queste figure di merda e la consapevolezza che non potrò mai essere un chirurgo nemmeno fra 100 generazioni darwiniane che inaugurano il mio fine settimana.
E quindi mi chiedo, cosa voglio? E perché il grafico di cui sopra non contempla l’opzione “no kids no work“?
Che l’unico di cui ho bisogno ora è di non pensare al work né tantomeno ai kids in itinere di pazienti che “sono nelle mie mani”.
Se non ci vuoi entrare tu nell’utero della paziente ci posso entrare io. Faccio un sondaggio tipo. Ci mando un rover o una sonda. Ma solo se è gnocca però.
ahahaha ecco perché a lavoro non ho colleghi maschi 😀
[comunque era pure gnocca]
Giulia hai trovato un amico. La tua paziente è nelle tue mani non puoi lasciarla senza sonda endouterina….
Sai quante volte mi sveglio di notte e mi chiedo ‘ma avró corretto il potassio a tizio, avrò controllato il dosaggio di quello a caio’? E in fondo è questo essere coscienziosi.
Si Spersa, nel tuo caso capisco…perché la vita dei pazienti è davvero nelle tue mani, immagino. Io però non devo regolare potassio né controllare valori vitali, e mi scoccia quando una paziente implicitamente scarica su di me il successo del suo trattamento…
[…] il lavoro che faccio in clinica non sia il classico lavoro che ti porti a casa, ma mi sbagliavo. Già qualche post fa avevo avuto il sospetto ed effettivamente era da un po’ che mi sentivo un attimino privata di energie vitali. Il […]
[…] luminare del campo. Le italiane sono, nella media, molto più propense a cambiare opinione e purtroppo anche più insicure ed inclini a entrare in confusione con facilità, capaci di chiamare 3 volte in un giorno e mandare 4 mail solo per sapere se è un […]
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