Leggo sempre più spesso articoli che, con l’obiettivo di spiegare com’è avere 30 anni, finisco per ritrarre una macchietta dei trentenni. Non più giovani che si crogiolano di divano e copertina, troppo stanchi per il divertimento ed entrando in crisi fra matrimoni e figli (spesso quelli altrui).
Mi viene un po’ il prurito quando li leggo. Non perché non contengano verità, ma perché saltano a piè pari tutta una serie di cose belle, di nuove consapevolezze che per me sono il vero tesoro di questo decennio dei 30.
Ultimamente ho fatto l’esercizio di guardare molto meno al passato e fare un ritratto mentale di quello che sono ora, del perché mi piace avere 30 anni e qualcosa, oggi.
Se mi chiedessero com’è avere 30 anni, gli risponderei con questa lista
[poi fatemi sapere se vi riconoscete in qualche punto]
1. Mi accetto di più.
Ho smesso di assillarmi con l’idea che potrei essere diversa, più alta, più longilinea; che dovrei truccarmi di più per sentirmi più bella; che potrei essere più socievole, estroversa e femminile per attirare gli sguardi; che dovrei avere più vestiti nel guardaroba.
Invece mi trucco poco, la piastra per i capelli è abbandonata da qualche parte sopra un armadio, i miei capelli si sono fatti ondulati senza che io ci possa fare niente (anzi, finalmente!).
Mi guardo allo specchio e vedo i primi, più evidenti, capelli bianchi e la cosa un po’ mi stupisce, ma per il momento non ho intenzione di nasconderli. Questo non vuole dire che mi trascuri: curo il mio aspetto, semplicemente mi piace mantenere uno stile che mi rappresenti veramente, a prescindere dalle mode.
Mi preoccupo molto meno di come mi dovrei comportare e dovrei apparire agli occhi degli altri: mi succede ancora, eh, e ogni tanto mi faccio prendere dalla sindrome dell’impostore. Ma c’è una parte di me che si è fatta più solida e prende il sopravvento quando serve. Accetto di dare la mia opinione a un gruppo di persone anche quando può suonare controcorrente, accetto di correre il rischio di sbagliare, accetto di non essere benvoluta da tutti, accetto di avere dei momenti in cui sto antipatica anche a me stessa.
2. Ho un rapporto migliore con il mio corpo.
Forse corollario del punto precedente, ma il rapporto con il mio corpo è notevolmente migliorato rispetto al decennio dei 20, forse perché anche la mia autostima è aumentata.
Lo vedo più morbido, più sicuro, e stranamente più rispondente rispetto al passato: lo noto muoversi con il mio umore, d’accordo con i miei sentimenti.
Mi ci muovo meglio e andiamo d’accordo, io e il mio corpo, forse perché me ne prendo realmente più cura.
Mi preoccupo per lui, ascolto i suoi segnali, ogni tanto mi fa preoccupare, ma sa anche darmi molte nuove soddisfazioni.
3. Sono più coraggiosa di fronte al cambiamento.
Ho imparato a stare da sola, a viaggiare lontano, a cambiare quello che non mi fa stare bene. Non che a vent’anni non abbia cambiato mai, ma se lo facevo era dopo lunghi ed estenuanti struggimenti morali, consultazioni familiari e di coppia.
Avevo bisogno di una rete che sostenesse i miei cambiamenti. Necessitavo un certo grado di approvazione, un verdetto finale che mi desse il via libera, volevo cambiare senza sensi di colpa.
Troppo facile.
E quindi ho smesso di desiderare il cambiamento platonico, quello che “come mi piacerebbe farlo in futuro“, e poi quel futuro non arriva mai.
Perché aspettare che gli altri incoraggino sempre e comunque le mie scelte è stata una grande limitazione, e non voglio più che sia così. Non è per niente facile sorvolare l’opinione degli altri, ma almeno ora sono cosciente di questo potenziale limite.
Il coraggio si applica poi anche ai momenti difficili, quelli in cui bisogna risolvere un problema alla volta e accettare – magari a malincuore – il cambiamento come parte della soluzione: da poco ho notato come il pensiero di dover risolvere alcuni problemi futuri, non mi provochi tanto ansia quanto una strana sensazione di misterioso entusiasmo contornato dalla tristezza per qualcosa che finisce.
4. Ho un costante bisogno di imparare.
Mai mi ero sentita così aperta all’imparare nuove cose: teoricamente l’epoca dell’istruzione obbligatoria è passata da tempo, ma mi rendo conto che quelle erano solo basi.
Ora imparo veramente ad applicare quei fondamenti e a volerne di più, non mi basta un libro che mi spieghi come si fa. Mi lancio su argomenti nuovi, ascolto molto di più persone con punti di vista originali.
Ho imparato ad argomentare le mie opinioni in maniera molto più cosciente e se voglio farmi un’idea su un tema, non mi fermo alla prima fonte che mi capita sotto mano.
Se voglio imparare a fare qualcosa, inizio a farla per davvero invece che subodorare quel futuro momento che non arriverà mai. È una sfida fra me e la procrastinazione.
5. Non pubblico più foto personali su Facebook.
Il che fa parte di un concetto più ampio del cosa voglio che gli altri vedano di me.
[edit 2017: oltre al fatto che ormai, non ho più un account personale su Facebook]
L’epoca dei social ha cambiato il modo in cui vediamo le nostre vite; rincorriamo la felicità visiva e ci ispiriamo a quella degli altri scorrendo le loro bacheche Facebook. Si innesta a volte il tarlo che gli altri siano più felici di noi, solo perché così li vediamo nei loro album.
E invece magari va come in questo video di Shaun Higton pubblicato lo scorso anno.
Per diverso tempo anche la mia bacheca Facebook è stata un susseguirsi di foto pubbliche, di viaggi, feste, vacanze, matrimoni. Mi è capitato di sentirmi dire – rivedendo qualche vecchio amico dopo anni di lontananza – “che vita felice hai, sei proprio fortunata ad avere tutto“: e lo dava per scontato, solo perché erano le mie foto su Facebook a dirlo.
Invece ero sul punto di separarmi e mandare all’aria la mia vita passata, ma questo dalle foto su Facebook non trapelava. Da quel momento ho smesso di pubblicare foto personali e ho messo un lucchetto sulle vecchie. Ho scelto un anonimato social a una costruzione fittizia della mia felicità: preferisco che mi si chieda direttamente come sto, piuttosto che lasciar pensare che stia sempre bene, visto che nelle foto, come tutti, sorrido.
6. Sento di potercela fare da sola, anche quando sono triste.
Continuo ad avere i miei momenti da piccola fiammiferaia, ma non pretendo che gli altri ne siano parte.
Mi conforta l’idea che, comunque vadano le relazioni, le amicizie, il lavoro, potrò sempre contare su di me, in primis. Scoprire di avere le risorse e la volontà di arrangiarmi da sola, quando serve, è una delle cose che ora apprezzo di più dell’avere trent’anni. E questo mi fa godere molto di più dell’amore delle persone che mi stanno a fianco, che considero come un incommensurabile valore aggiunto.
Non ho bisogno di regali di San Valentino, ricorrenze da calendario, gioielli come segno d’amore.
Desidero un compagno che stia sveglio al mio fianco e che guardi nella mia stessa direzione, verso un futuro desiderato da entrambi, fondato sullo stesso ideale ma suscettibile di cambiamenti: inutile stupirsi, ma le persone cambiano, e pensare di doversi accettare per sempre così come si è, per me si è rivelato un errore. Desidero un compagno che sia soddisfatto della propria identità a prescindere dal suo lavoro e per cui il rapporto di coppia significhi costruire qualcosa insieme, non raggiungere obiettivi tipo scalata al successo.
Desidero un compagno con cui essere pareja, e non una simil-figlia o simil-madre.
E per ottenere tutto questo, ho iniziato – seppure con la difficoltà dei principianti – a fare una cosa nuova: concentrarmi sull’amare e meno sull’essere amata.
Da questo sono nate cose belle ed equilibri più profondi, meno scontati. Sembra una contraddizione in termini, eppure lo sforzo di sentirmi amata sempre e comunque e di andare alla continua ricerca di conferme, era un lavoro logorante.
8. Mi offendo molto meno (viva il menefreghismo, quando serve).
Per gli inviti non ricevuti, per le amicizie che si rivelano di convenienza, per le parole di incoraggiamento che a volte non arrivano, per i giudizi impliciti che non posso fare a meno di notare.
Non so se è stata una vera e propria decisione o semplicemente un cambio naturale, una sorta di vivi e lascia vivere che si è finalmente mangiato parte del mio lato più permaloso.
Il fatto è che sono sempre stata una che si lega le cose al dito, ma tanto più avvolgo il filo intorno al dito, tanto più la mia mucosa gastrica ne risente. Più risentimento, più dolore gastrico.
E quindi provo a dire basta, pazienza se gli altri a volte non mi trattano come vorrei: continuo a rimanerci male, d’impatto, ma poi questa breve naturale sofferenza dura molto meno e soprattutto non si converte in un’offesa perpetua. D’altronde immagino che gli altri proveranno lo stesso nei miei confronti, quando sono io a non comportarmi come loro vorrebbero.
9. Mi sono liberata delle auto-costrizioni.
Ora propendo per il minimalismo: non sono diventata una persona sintetica (se leggete i miei post, incluso questo…ne avete una prova), ma se prima dei trent’anni sentivo il bisogno di accumulare, adesso mi sento meglio quando lascio andare.
Ad esempio sono riuscita a disintossicarmi da un’abitudine che mi opprimeva: ho smesso di annotare quotidianamente la mia vita sull’agenda, cosa che ho fatto per circa 13 anni.
Ogni giorno un resoconto delle mie giornate. E non pensate a una valvola di sfogo per sentimenti repressi, no: sono proprio 13 agende con un resoconto giornalistico delle mie giornate, più qualche nota sentimentale ogni tanto. Un meccanismo a cui mi sono ritrovata agganciata nemmeno io ricordo come, ma che era diventato una tortura che mi imponevo credo per la paura di dimenticare.
A cosa mi è servito riempire 365 pagine di resoconti per 13 anni? A ben poco, solo a peggiorare le mie tendenze ossessivo compulsive e a essere prigioniera dei miei ricordi.
Poi finalmente sono riuscita a smettere, ma non da sola, come in tutti i processi di disintossicazione che si rispettino. È stato un grande traguardo dei trent’anni: ora quando ho voglia di scrivere apro il blog o semplicemente appunto i pensieri su quaderni pescati a caso nella libreria, senza alcun intento cronologico.
10. Vedo finalmente i miei genitori come essere umani, senza alcun superpotere.
Questa la considero l’ultima grande conquista dei miei 30 anni.
Avvenuta con calma, in un lento susseguirsi di eventi, anni di attriti malcelati e abbracci stritolanti, di amore che era troppo e a volte sfociava nello stroppio.
I miei genitori non sono esseri sopra-naturali.
Non sono dotati del super potere di comprendere le mie scelte sempre e comunque, anzi, da buoni essere umani amano questionare, porsi dei dubbi e insinuarli. Non hanno il super potere di avere la ragione sempre dalla loro parte ne quello di prevedere senza alcun margine d’errore che cosa sia meglio per me.
Ogni tanto fanno delle previsioni cassandriche, quello sì, e a volte fa male doverlo ammettere.
Ma io e loro siamo della stessa imperfetta natura, tutti abbiamo il quaderno degli errori in costante aggiornamento. E una volta realizzato questo, diventa tutto un po’ più più facile.
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La società ci dice che crescere porta alla rovina. Sì, si invecchia, ma si può anche invecchiare diventando una persona più forte, più gentile, più coraggiosa. Puoi modellare la vita che hai sempre voluto. Ma man mano che invecchi, il mondo ti dirà che vali di meno, anche se sai che è una bugia. In fondo, se c’è una cosa che alla società non importerà mai, è rendere una donna soddisfatta. – Molly Crabapple
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E voi come avete vissuto il passaggio fra i venti e i trenta? Quali sono i motivi per cui siete contenti di “diventare adulti”?
Ciao Giulia, condivido moltissimo tutto quello che dici. Anche se i miei trent’anni e qualcosa si muoveranno presto verso gli -anta, ma devo dire che ho vissuto bene i miei 30.
Condivido totalmente il discorso delle foto in Facebook; mi piacerebbe riuscire ad essere meno permaloso ed offendermi di meno (ma questo è un grosso difetto su cui sto cercando di lavorare); capelli bianchi ne spuntano sempre di più e ne vado fiero; non sono mai stato così in forma come negli ultimi 6 mesi. Insomma i 30 anni mi hanno rigenerato, soprattutto il secondo quinquennio.
Non avevo mai visto i miei genitori come supereroi, questo devo dirlo. Li ho sempre e solo visti come mamma e papà. Col senno di poi, posso dire che sono stati dei veri supereroi nel crescere uno sgangherato come me!
Bello sapere che i 30 siano un bel decennio anche per te Stefano!
Il punto dei genitori come super eroi è forse un esagerazione per dire che il mio errore per molto tempo è stato pensare che avessero il super potere in quanto miei genitori di capirmi sempre e comunque. Invece anche noi figli diventiamo adulti, e il confronto con i nostri genitori cambia perché appunto si trasforma una relazione fra adulti con il loro bagaglio di esperienze e conoscenze che a volte diventano barriera nella comunicazione. Capito questo, ovvero che loro non sanno TUTTO e non hanno un’opinione per TUTTO quello che mi riguarda, le cose sono andate meglio…Tu dirai, capirai che scoperta! A volte ho un po’ il prosciutto sugli occhi ^_^
è vero quello che dici. Solo che quando siamo figli “giovani” pretendiamo di essere capiti, quando siamo figli “adulti” ci tocca imparare a capire i nostri genitori. Si invertono le posizioni. E quello è il momento in cui capisci che loro sono invecchiati e anche noi non siamo più i neonati.
Si, è l’invertirsi delle posizioni che è un processo naturale ma anche un po’ straniante, all’inizio.
Cara Giulia,
quello che scrivi mi conforta. Ho compiuto i 30 da pochi mesi, e vedo tutto nerissimo! Vorrei trovare il coraggio di dare una svolta, ma pare che a trent’anni sia troppo tardi per rimettersi in gioco, quasi come se le esperienze (sto parlando soprattutto quelle lavorative) siano un tunnel piuttosto che un bagaglio. Come hai fatto a trovare la forza?
Un saluto affettuso
Ciao Giulia, no no dai, il nero concediamocelo solo per le serate eleganti! A 30 anni non è per niente troppo tardi per rimettersi in gioco, ne personalmente ne lavorativamente…se no tutte le parole di questo blog sarebbero gettate al vento!
Io ti dico la verità, non ho mai avuto molti problemi a cambiare strada lavorativa nemmeno durante il decennio dei 20, ho sempre pensato che se quello che faccio mi fa stare male, tanto vale cambiare. Alla fine è lo stesso concetto che ho applicato anche ad altri ambiti della mia vita e che mi ha portato a trasferirmi a Barcellona, per esempio. Non vorrei spiattellare frasi in stile-osho tipo la forza è dentro di te, ma fondamentalmente il sunto è quello 🙂 Cosa vorresti cambiare esattamente della tua vita, ora?
Un abbraccio!
Che bello leggere le tue parole, e condivere tanti dei tuo punti.
Nei miei 30 sono molto piu’ sicura di me, accetto di piu’ il mio corpo (che comunque nel frattempo presenta piccoli segni di invecchiamento) e me ne prendo cura, accetto di piu’ i miei limiti, ma allo stesso tempo cerco di superarli. Se ho un problema lo affronto in modo piu’ razionale, cercando di trovare una soluzione pratica, invece di esserne solo triste.
A volte sono un po’ nostalgica del passato, dei miei 20 anni, delle cose che erano possibili ma non ho fatto, ma di certo non mi mancano i drammi e la stristezza dell’adolescenza!
Ciao Daniela, grazie per il tuo commento! Mi fa piacere che questi 30 anni ci accomunino in tante cose, e ok, concediamoci un briciolo di nostalgia per quello che nei 20 poteva essere ma non è stato…ma niente impedisce che certe cose si possano recuperare ora che ne abbiamo 30!
Scoprire la bellezza di esserci, con la propria testa e il proprio vissuto. Godersi la conoscenza di sè e stupirsi di trovarsi interessanti così come si è. Sapere ciò che si desidera per il proprio presente e il proprio futuro. L’entusiasmo nell’affrontare i cambiamenti. Affinarsi nell’arte del vivere. La voglia di essere felici. Queste sono state per me le meravigliose rivoluzioni dei trent’anni. Per me, gli anni più belli!
Meravigliose rivoluzioni anche per te, che bello! <3
A me i trent’anni hanno portato tante novita’ positive perche’ sono finalmente riuscita a cambiare alcuni aspetti della mia vita che non mi soddisfacevano e, forse, finalmente sono riuscita a farmi una ragione del fatto che, professionalmente, non arrivero’ mai dove volevo arrivare.
Farsi una ragione delle cose per me è diventato un grande obiettivo da raggiungere, prima ne ero quasi incapace. Professionalmente non arriverai dove volevi arrivare, ma magari hai preso una strada che ti da più soddisfazione? Per me è stato così per lo meno, quel “dove volevo arrivare” non si è rivelato effettivamente così utile per me.
[…] vestire. Per me, che non sono mai stata patita di shopping, palestra e parrucchieri, affrontare i cambiamenti del mio corpo trentenne con lui è stato decisamente […]
[…] qualche tempo fa scrivevo di quanto mi piaccia avere trent’anni e qualcosa, riconosco che alla soglia dei 35 anni sono anche stanca di dovermi giustificare per […]