Se non lo fotografi non è successo – 9 novembre 2016

se non lo fotografi non è successo Berlino porta di brandeburgo

Sono a Berlino da qualche giorno ormai. Sto facendo la turista, ma anche la raccoglitrice di materiale antropologico, l’osservatrice di conferenze scientifiche in streaming, e la nomade come sempre – con il mio portatile sulle spalle.
In quest’ultima veste, stamattina ho preso la metro a Kottbusser Tor, cambiato a Jannowitzbrücke e con la S7 sono arrivata fino a Griebnitzsee.

Sono a Berlino in un 9 di novembre qualsiasi

Quaranta minuti dal centro verso la zona sud-ovest di Berlino. Un susseguirsi di stazioni, cantieri, grattacieli, quartieri residenziali che da alti e smilzi si fanno bassi e puntuti, con tetti color terra e giardini intorno.
Street-art di dimensioni palazzesche che si alternano fra una stazione e l’altra. E poi la città che lascia spazio al bosco e ai colori autunnali. Foglie arancioni a bordo strada e a perdita d’occhio lungo le rotaie, fino ad arrivare al lago Griebnitzsee.

Questa era una delle linee divisorie tra Berlino Est e Ovest, mi racconta C., il mio collega che mi viene incontro alla stazione.
Stai mettendo i piedi sulla ex-Berlino est, e qui di fronte, sulla riva del lago, le guardie controllavano che nessuno attraversasse il confine via acqua – continua.

È ironico, continuo a pensare.
Ventisette anni fa questa città stava festeggiando uno dei momenti di rinascita più importanti della sua storia, da cui tutta l’Europa, in un certo senso ha poi tratto giovamento.
E oggi, mentre mi affannavo tra la folla di berlinesi che salgono le scale della metro, ho intravisto la televisione di un bar. E sullo schermo c’è Donald Trump con il suo colorito arancione, di fronte a un microfono, il suo primo discorso come quasi-Presidente-degli-USA.
È una frazione di secondo, cammino spedita, ma istintivamente mi viene fuori un’imprecazione.

Sono a Berlino, il 9 novembre 2016, e invece che segnali di speranza, alla tv ci annunciano un’altra svolta epocale, ma non è positiva. In un’altra frazione di secondo, penso che sarebbe un momento da fotografare, ma come far entrare tutto questo nello schermo di una macchina?

E tutto sommato, forse se non lo fotografo ho la scusa per dire che ancora non è successo.

Il mio collega C. mi conduce verso casa sua. È un piccolo palazzo di 3 piani, stuccato di bianco e circondato da pini.
Mi tolgo le scarpe, proattivamente, ormai so che in nessuna casa germanica potrò mai camminare con le scarpe ai piedi.
I pavimenti sono chiari, un gatto rosso si affaccia alla porta, la casa profuma di incenso.
Lui mi prende il cappotto e mi chiede di poggiare il cellulare sul mobiletto all’ingresso, perché la zona della casa in cui lavoreremo è interdetta alle frequenze telefoniche. Sul serio.

Sua moglie fa un mestiere che ha a che fare con i chakra, le energie positive, il feng shui e altri concetti che non ho ben capito, ma mi fido: lascio il cellulare dove mi ha detto e mi affido alle regole di questa casa di cui sono ospite per un giorno.

Mi fa accedere alla stanza immacolata protetta dalle radiazioni del cellulare. Prima però, attacca sul retro del mio computer un triangolo adesivo che neutralizzerà le frequenze negative, in modo da non contaminare l’atmosfera della sala.

C’è un lungo divano bianco, coperto da cuscini in tinte calde, un tappeto in simil-pelle d’orso, un tavolo di legno rotondo, una coperta indiana, sculture in legno e un quadro chiaro con un grande cuore in acquarello rosso. Davanti a me, poggiati sul tavolino in legno chiaro, biscotti con pepite di cioccolato e nocciola e una tazza di caffè.
Uno specchio grande quanto la parete mi riflette, mentre siedo su una finta pelle d’orso con il pc sulle ginocchia.

Sono praticamente in una sala che sembra uscita da una board Pinterest, è bellissima.
Per darvi un’idea, assomiglia in lontananza, a queste:

sala-bianca-e-rossa-berlino
la sala di cui parlo è qualcosa di simile, ma meno bianca

Il mio primo impulso è prendere il cellulare e fare una foto da mandare al Guerriero, dirgli “Guarda da dove lavoro oggi!”.
Ma non posso, perché il cellulare qui è off-limits, non posso lasciare alcuna testimonianza visiva.
Ironicamente, è la seconda volta in due ore che ho la stessa tentazione di voler fermare un momento in immagine, ma non poterla portare a termine.
Eppure le mie parole sono qui.
La mia sensazione nel vedere quella scena alla tv in corridoio metro di Berlino, il profumo dell’incenso di questo salone bianco, il primo cielo completamente azzurro su Berlino da quando sono arrivata: esistono, li sento, li descrivo.

Ma la mia mente è abituata a pensare che se non lo fotografi non è successo

Non vorrei ammetterlo, eppure mi sento in parte dipendente da questa tentazione all’immortalare il momento.
Sull’onda del “if there’s no picture, it didn’t happen“.

Tempo fa, anni fa ormai, dopo l’ennesima crisi di nervi seguita alla cancellazione accidentale dei miei album fotografici, avevo deciso di usare con più parsimonia la macchina digitale e slegarmi dall’idea che ogni foto persa equivalesse a un ricordo irrecuperabile.

Non è così. Certi ricordi sono più vividi delle fotografie che li rappresentano.
Certi ricordi importanti non hanno nemmeno mai avuto bisogno di una foto.

A volte basta anche semplicemente una data sul calendario, per riportare alla luce immagini del passato.
Cercherò di applicare lo stesso principio di attesa e osservazione anche con il mio cellulare, così come ho fatto con la macchina digitale anni fa: bloccare sul nascere il riflesso automatico della mano che cerca l’apparecchio per poter poi condividere il ricordo.

Intanto, la data di oggi, probabilmente rimarrà marchiata comunque in rosso sui calendari.


La foto di copertina è mia (mani del Guerriero mentre fotografano la porta di Brandeburgo); le foto nel corpo dell’articolo sono di:
johannapilfalk.se
liliinwonderland.fr

13 risposte a “Se non lo fotografi non è successo – 9 novembre 2016”

  1. Io ho avuto la sensazione del “dover” fare la foto quest’anno, durante il viaggio tra i Parchi negli States. Erano anni che non facevo così tante foto. Però volevo ricordarmi, con il senno di poi, l’idea di ciò che abbiamo vissuto. La foto non riflette la bellezza che abbiamo ammirato, ma mantiene vivo il ricordo.
    Sei stata a Berlino proprio nei giorni della caduta del muro per caso o volutamente?

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      È stato un caso Stefano, sono ancora qui fino alla fine della settimana 🙂

      1. Quando si dice le combinazioni. Credo sia davvero una città bellissima e affascinante, ricca di una storia triste e cruda, che ha segnato la vita di tante, troppe persone.
        Mi riprometto da tempo di visitarla, spero di riuscirci prima o poi.

        1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

          Si, decisamente merita la pena. Non è il mio ideale di città in cui vivere, ma senza dubbio la sua storia la rende un posto da visitare assolutamente. Oltretutto il lavoro che stanno facendo di conservazione e documentazione della memoria storica, è veramente lodevole. Soprattutto perché è una sorta di “mea culpa collettivo”, a cui va dato secondo me grandissimo valore.

  2. Io, questa cosa del dover scattare foto a tutti costi per dimostrare cosa si e’ fatto dove e con chi, non la sopporto. Ho come l’impressione che le persone siano piu’ interessate a condividere le foto su Facebook per far vedere agli altri che si stanno divertendo piuttosto che godersi il momento. Ormai quando si va ai concerti non e’ altro che un mare di mani alzate che stringono il cellulare per fare foto o video. Che tristezza.

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Io faccio mea culpa in questo: anche se non condivido foto sul mio profilo FB personale (a parte la pagina del blog), mi accorgo che ho proprio cambiato l’approccio nel cogliere l’immagine. Una cosa che prima non facevo: ora mi devo fermare e pensare “hai veramente bisogno di questa foto? cosa cambia se non fotografi?” – il più delle volte funziona, e mi sento meglio al pensiero di essere ancora padrona dei miei istinti 😀
      Però hai ragione, in linea generale è abbastanza triste che ci siamo legati così tanto all’immagine in se e non più al vivere il momento, senza pensare alla condivisione massiva.

  3. Hai immortalato la giornata con il tuo racconto, e l’hai “mostrata” anche a me. Grazie!

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Grazie a te per averla immaginata insieme a me 🙂

  4. Claudia Lemmi dice: Rispondi

    Quello che dice Alessandra qui su è vero, s’immortala meglio (alcune volte) con un racconto che con una foto 🙂

    Ps: tra qualche giorno sono a Genova, pronta a imbarcarmi per Barcellona! *_* Finalmente ci sonooooo

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Finalmente Claudia!!! Un in bocca al lupo grandissimo per questa bella avventura che vi aspetta <3

  5. Che coincidenza, leggo questo post proprio oggi, dopo aver scritto di Berlino. Sai che anche io ho sempre l’impulso irrefrenabile di scattare foto? Ma non è sempre stato così. Una volta non facevo molte foto e pensa un po’, i ricordi di quei momenti – vissuti al 100% – sono indelebili. Molto più potenti di quelli di oggi, filtrati dagli scatti. Infatti sto provando a contenermi, a fotografare di meno e a vivere di più. Quasi un disintossicarsi!
    🙂

    1. trentanniequalcosa dice: Rispondi

      Esatto, è una specie di disintossicazione dalle dita che fremono sul click. Vado subito a leggere cosa hai scritto su Berlino!

      1. Come dice il mio insegnante di fotografia.. fotografare meno, fotografare meglio! Non serve immortalare ogni momento, in una sorta di bulimia visuale… è sufficiente scattare ogni tanto, se piace, per rimettere insieme il puzzle di vita vissuta. 🙂 Vediamo se ce la faremo! Non è facile, parlo almeno per me. Che poi.. le condividessi, queste foto! Invece no, per lo più si accumulano nel mio hard disk e non so nemmeno di averle.

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