Restless

restless

Molti anni fa, quando vivevo a Milano, un amico fotografo mi aveva coinvolto in un progetto fotografico che se non ricordo male, si chiamava Night and Day. Lo stesso squarcio cittadino fotografato alla luce del giorno e sotto i neon notturni, poi montato nello stesso fermo immagine.

La foto in cui apparivo io era stata scattata in mezzo alle rotaie di Corso di Porta Romana, all’altezza di Missori, a ore indecenti della notte.
Era uno scatto a esposizione lunghissima, condizione che mi imponeva la più stretta immobilità.
Ma non c’era stato verso.
I miei occhi vagavano nello spazio intorno, mi prudeva una guancia, la fronte, mi andavano i capelli sugli occhi.
Alla fine avevamo scattato comunque, e il mio amico aveva chiamato la foto She’s Restless.

Era bella, anche se il mio viso non era a fuoco.
Il cuore dell’immagine convergeva tutto intorno al rosso della giacca in velluto anni ’70 scovata nell’armadio da ragazzina di mia madre, che indossavo spesso in quegli anni. Il viso invece era un’onda di movimento confusa dalla luce aranciata di un lampione.

Con quello scatto, e il titolo che aveva scelto, quell’amico era riuscito a fermare un dettaglio della mia personalità che mi porto dietro da sempre, a volte con leggerezza, molto più spesso come una palla al piede.

L’irrequietezza sembra essere la stessa di quando piangevo a pieni polmoni nei miei primi mesi di vita e l’unico modo per calmarmi era scarrozzarmi in giro per il paesello in macchina o nel passeggino.

Ancora oggi il modo più efficace che ho per calmarmi è andare.

Camminare.
Prendere un treno e lasciarmi portare.
Trovare un tavolo in un bar affollato e immergermi nel via vai di persone e nel loro rumore bianco.
Stare in aeroporto in attesa di un volo.
Sentirmi in movimento, senza necessariamente effettuare uno sforzo fisico.

La mia irrequietezza è soprattutto mentale, e fa molto rumore.

È quello che cerco di spiegare al Guerriero, quando mi chiede come faccio a lavorare in silenzio per ore di fronte al computer.
Lui ha bisogno di musica, compagnia sonora.
Io, al contrario, con certa musica rischio di distrarmi, di staccarmi troppo dal mio flusso di pensiero e non arrivare al punto.

Non ho bisogno di compagnia perché ci sono già un sacco di voci in testa che mi guidano nel movimento mentale.
Mi lascio trasportare da loro, in un dialogo costante fra quello che scrivo, leggo, desidero.
Ci stanno dentro i progetti per il futuro, nuovi interessi che si materializzano fra le righe di una lettura interessante, le voci dei personaggi che popolano i romanzi che leggo.

Sono restless, e non credo di volermi fermare, nemmeno per una foto.

P.S. Post che sono riuscita a buttare giù solo prendendo il pc e scendendo al bar sotto casa, ché dal divano del mio studio tutto pesava come pietra.

P.P.S. Sono andata a cercare quella foto ed esiste ancora, immobile in un account online di una piattaforma che undici anni fa era il mio luogo di interazione per eccellenza. M’è venuto un magone assurdo, ecco.

2 risposte a “Restless”

  1. Che bel post. Posso dirti che condivido tantissimo questo stato d’animo e tratto della personalità, anzi è da moltissimi anni che credo ci sia un racconto che ci descrive e si chiama “Cada homem è uma raça” di Mia Couto. Lo voglio leggere da una vita ma non lo trovo. Se lo trovi, per favore fammi un cenno.
    Ti abbraccio da quassù!

    1. Grazie del consiglio, lo cerco! <3

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